Quattro cospiratori pistoiesi nella Russia zarista
Tra Russia, Polonia e Lituania, le esperienze di quattro pistoiesi dell’Ottocento
Seguendo gli itinerari di alcuni toscani dell’Ottocento, sorge spontanea la domanda sul perché, nei primi anni della Restaurazione, avvenuta, com’é noto, in seguito al Congresso di Vienna del 1815, non pochi intellettuali e patrioti, emigrassero nei paesi dell’Impero Zarista, che storicamente non ha mai goduto di eccessiva considerazione come “patria delle libertà”. «Questa scelta» – ci dice il prof. Renato Risaliti, noto slavista dell’Università di Firenze – «non fu casuale perché in quel periodo il sovrano russo Alessandro I giocò la carta della politica anti–austriaca e pseudo liberale in opposizione all’Austria di Metternich». Ma ben presto, col nuovo zar Nicola I, fratello del precedente, insediato il 14 dicembre 1825, giorno della fallita rivolta decabrista, l’autocrazia zarista getterà la maschera e la Russia diverrà “il gendarme d’Europa”.
Fino agli attuali studi di Risaliti, effettuati sui fondi della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia e negli archivi russi, quasi nessuno sapeva che ben quattro pistoiesi, Ercole Gigli, Nicola Monti, Sebastiano Ciampi e Luigi Cappelli, emigrati negli anni della Restaurazione nell’impero zarista, ebbero contatti di varia misura ed entità con alcuni dei congiurati che stavano preparando il moto insurrezionale decabrista. La lunga ricerca, che prossimamente il Professore pubblicherà in volume, prende in esame i primi anni dell’Ottocento quando in Russia andava organizzandosi il movimento antizarista e nella Penisola italiana si delineavano il potere della massoneria e gli aneliti indipendentisti delle vendite carbonare. Su questo sfondo Risaliti analizza e svela, attraverso gli intriganti contatti di questi intellettuali pistoiesi con alcune autorevoli personalità dell’ impero russo, il sotterraneo intreccio fra massoneria, carboneria e decabrismo. Ma chi erano i quattro emigrati pistoiesi?
Di Ercole Gigli (?–1824) non si sa molto, ma proprio per questo ci sembra la figura più interessante dal punto di vista cospirativo. Medico all’Ospedale di Pistoia, docente all’Università di Pisa, fu autore non solo di studi specialistici, ma anche, fra gli anni ‘80 e ‘90, di alcune rime pubblicate in città assieme a quelle di Pagnini, Matteini, Puccini, Ciampi, ed altri. Gigli fa parte di quell’entourage liberale che inizialmente accoglierà con favore l’arrivo delle truppe francesi, ma che poi rimarrà profondamente deluso dal periodo napoleonico. Nel 1815, in piena Restaurazione, un rapporto del commissario Cercignani, lo segnala come carbonaro assieme a Monti, Sozzifanti ed a tanti altri. Poco dopo quella data nelle cronache pistoiesi non si trovano più tracce del medico, ma da studi effettuati da storici russi sappiamo che in quegli archivi è segnalata, proprio negli anni immediatamente successivi, la presenza nell’Impero di un “Mariano Gigli” di cui la polizia zarista non specifica né età, né provenienza. Probabilmente il Gigli si recò a Pietroburgo con il pittore Nicola Monti, suo amico di gioventù e sodale di fede carbonara e dovette cambiare il proprio nome in Mariano proseguendo, con questa nuova identità, quella sua attività di propaganda rivoluzionaria così ampiamente attestata dalle fonti russe. In Russia visse spostandosi molto e svolgendo attività di insegnante e di istitutore, entrò nella loggia Chierut (Libertà) finché nel 1824 morì di febbri. Non a caso nel 1926 lo zar Nicola I ricordò al diplomatico piemontese De Salle che un italiano, morto due anni prima, era stato seriamente implicato nella preparazione del moto decabrista. Tutto ciò fa presumere che Ercole e Mariano Gigli fossero la stessa persona, ma ovviamente – ci dice Risaliti – non c’è la certezza matematica: occorrerebbe trovare conferma in qualche nuovo documento d’archivio, cosa molto difficile, visto che i cospiratori non lasciano in giro molte tracce e che si tratta di fatti risalenti a quasi duecento anni fa.
Del pittore Nicola (o Niccola) Monti (1770–1864) sappiamo ben più: allievo di Luigi Sabatelli e poi di Pietro Benvenuti all’Accademia fiorentina di Belle Arti fu, tra l’altro, autore delle decorazioni di un soffitto di Palazzo Pitti e di affreschi nella cattedrale di Pistoia. Nel 1818 si recò in Polonia, invitato da Paolo Cieszkovski per decorarvi il suo palazzo e una chiesa, e viaggiò in Russia, a Mosca e San Pietroburgo. Coltivò con successo la litografia ed è anche noto per i suoi numerosi articoli e trattati in materia d’arte e per le pagine autobiografiche del volume Poliantea (1829) e delle Memorie inutili (1860). Del Monti, le cui modeste doti pittoriche – come nota Risaliti – non bastano a giustificare le importanti commissioni ricevute dai notabili zaristi, emerge il ruolo di doppio agente: da un lato di fiduciario del governo russo in virtù dei servigi prestati in funzione anti austriaca, dall’altro di incaricato dei contatti con le organizzazioni decabriste russe per i meriti acquisiti in patria come dirigente dei carbonari di Bologna.
Nota invece, e ben oltre l’ambito pistoiese, la figura del sacerdote Sebastiano Ciampi (1769–1847) studioso che, come rileva il Prof. Giancarlo Savino, riuscì a guadagnarsi fra i contemporanei “una robusta fama”, ma una stima “molto alterna”. Filosofo, archeologo, grecista e storico particolarmente apprezzato per i suoi studi sul medioevo italiano, insegnò dialettica e lingua greca all’Università di Pisa. Ben presto cominciò però a tirare una una brutta aria per il pistoiese: le invidie ed i dispetti dei colleghi per la sua solida preparazione si sommarono a qualche anonima mano che tracciò sul muro della sua casa pisana le oltraggiose scritte di “prete infame” e “prete puttaniere”, effetti degli echi che aveva suscitato la sua peccaminosa passione per la giovane perpetua Rosa Benedetti con la quale viveva more–uxorio. L’abate accettò quindi di buon grado nel 1817 la cattedra di filologia e di storia comparata delle lettere e delle belle arti della appena istituita Università di Varsavia, capitale del neonato Regno di Polonia, stato vassallo dello zar , dove rimase, con la sua “Rosina”, fino al 1822. Successivamente rientrò in Italia come inviato dell’Ateneo polacco, tornando nel Paese baltico solo per un breve periodo, nel 1830. Gli ultimi anni di Ciampi furono tormentati da violente crisi di follia a cui seguì la morte, avvenuta in Firenze il 14 novembre 1847. Lasciò tutti i suoi manoscritti alla Biblioteca Forteguerriana dove sono conservate anche le sue numerose opere di erudizione storica e letteraria e quelle, per molti versi preziose, sulle relazioni culturali con la Polonia e con la Russia. Gli studi di Risaliti confermano che Ciampi non fu direttamente implicato in complotti, tuttavia egli divenne un punto di riferimento per tutti gli italiani che si recavano nell’impero zarista, come ad esempio il noto conte fiorentino Luigi Serristori, ed in questo suo ruolo fu, giocoforza, amico di alcuni cospiratori, come il sopra ricordato Nicola Monti, che nel 1819 Ciampi provvide ad introdurre negli ambienti “che contano”.
Inoltre dai carteggi conservati nell’archivio dell’abate emergono inedite e preziose informazioni sulla vita privata e politica di un altro pistoiese, Luigi Cappelli (1775–77 c.a.–1839), che fu dal 1803 al 1837 professore di diritto civile e canonico nell’Università di Vilna, in Lituania e che tenne per lunghi anni corrispondenza epistolare con l’illustre concittadino. Risultano di particolare interesse i rapporti del Cappelli con Johachim Lelewel, membro della società segreta dei Filareti, divenuto anch’esso professore all’Università di Vilna, proprio grazie ai buoni auspici del Cappelli. Lelewel, conosciuto anche dal Monti, dopo aver fatto parte del governo provvisorio lituano seguito all’insurrezione antirussa del 1830, fuggì a Parigi, dove tenne stretti rapporti con il russo Gercen e con Giuseppe Mazzini. Dall’attività epistolare del Cappelli, di indubbio interesse, apprendiamo tra l’altro che il pistoiese, dopo una lunghissima permanenza in Lituania, riuscì a rivedere la sua città solo al termine della vita: poco dopo, nel 1838, morirà a Firenze.
Gigli, Monti e, soprattutto, Ciampi e Cappelli, al di là della portata del rispettivo coinvolgimento cospirativo nelle vicende italiane e russe, furono tuttavia, secondo Risaliti, «energie preziose e di grande potenzialità che Pistoia e l’Italia tutta non seppero valorizzare», per questo dovettero prestare le loro conoscenze a paesi e popoli stranieri, «ultimi italiani cosmopoliti che resero grande e famoso il nostro paese all’estero».
Carlo Onofrio Gori