Un erudito pistoiese dell’800 arruolato… nel fascio!
Niccolò Puccini (1799-1852)
II cognome Puccini, appena fuori Pistoia, evoca oggi, ai più, il ricordo del grande musicista lucchese Giacomo, tuttavia il patrizio pistoiese Niccolò fu uomo di notevole spessore culturale e civile.
Filantropo, letterato, patriota, ebbe corrispondenti illustri: dal Leopardi al Tommaseo, dal Giusti al Poerio, dal Vieusseux al Thouar, dal Gioberti al Guerrazzi, al Pepe, etc.
Come tanti altri illustri personaggi, non avendo incontrato in epoche successive il biografo, il romanziere o il regista “di grido”, la sua fama è rimasta confinata in ambito di élites culturali locali. Quanti, ad esempio, dentro e fuori Lucca, conoscono la figura di Francesco Burlamacchi, congiurato antimediceo di nobili ideali, oppure dentro e fuori Prato, sanno chi era Giuseppe Mazzoni, patriota e triumviro toscano nel 1849, che pure nelle loro città sono onorati da centralissimi monumenti?
Il vero monumento pistoiese a Puccini è il suo magnifico parco di Scornio – da lui lasciato in testamento alla città – ricco di statue di italiani illustri, adornato da un laghetto artificiale e da edifici in stile neoclassico. Ma non vogliamo soffermarci oltre sulla figura di Niccolò, se non per un fatterello curioso occorsogli post–mortem, nel 1930.
Un suo biografo, Alfredo Chiti, storico allora noto in Pistoia, richiesto dal fascio cittadino di una premessa al volume sui monumenti del giardino di Scornio da donare al Duce in occasione della sua visita in città, ebbe la bella pensata di vedere nel Puccini, morto nel 1852, addirittura un precursore (…) del fascismo, fondato com’è noto nel 1919. Il Chiti portò a sostegno della sua “azzardata” ipotesi le varie benemerenze patriottiche del patrizio pistoiese e fin qui niente di strano, ben più celebri risorgimentali padri della patria furono “adottati” durante il ventennio, ma fa veramente sorridere la sua tesi che il Puccini nell’«(…) esaltazione della romanità antica (…) concretò questo concetto col sovrapporre il Fascio Littorio a parecchi edifici quasi a voler significare fino da allora che il Futuro Benefattore di Italia, pel quale lasciò il posto vuoto in mezzo ai busti ai Grandi Italiani nel Pantheon fatto erigere nelle vicinanze del lago, non dovesse ispirare l’azione sua ad altro che al concetto di Roma imperiale».
Evidentemente il Chiti, in preda ad eroici furori, si era dimenticato che il fascio, simbolo originariamente etrusco, oltre rappresentare l’autorità di Roma antica, divenne in epoche successive, con il berretto frigio, emblema della Rivoluzione francese, comparendo talvolta come icona di unità e libertà nel Risorgimento italiano – e forse per questo l’aveva adottato il Puccini – usato poi, fra Ottocento e Novecento, sia nella terminologia politica (es. Fasci siciliani), sia come insegna da organizzazioni socialiste, sindacaliste e repubblicane. Insomma un simbolo anche ‘di sinistra’, ripreso poi dal fascismo nella sua accezione di romanità, ma forse ammiccando anche ad altri contenuti.
Del resto ci fu ambiguità nel fascismo e nel nazismo nel dare varie connotazioni ai simboli adottati: camice nere degli arditi, ma anche dei rurali padani; la croce uncinata nazista inserita nella bandiera rossa, etc.. In sostanza il Chiti incorse nell’infortunio che capitò, su altro versante politico, a coloro che a Pistoia, dopo la caduta del fascismo, in piena furia iconoclasta, volevano togliere la corona e il fascio in bronzo posto ai piedi del monumento equestre a Garibaldi. Fortunatamente allora qualcuno fece notare che la scritta sulla coccarda della corona posta sotto il fascio recitava: «Reduci garibaldini… giugno 1909»!
Carlo O. Gori