Policarpo Petrocchi, letterato e patriota
Un degno e coerente ammiratore di Garibaldi
Il pistoiese Policarpo Petrocchi (1852–1902) fervente ammiratore del Generale Garibaldi, volle dare, col Novo dizionario universale della lingua italiana, il suo contributo di letterato e lessicografo agli ideali risorgimentali. L’autore, prefiggendosi con quell’opera di imprimere un impulso efficace all’unificazione linguistica del Paese, aveva infatti scritto: «Attenendoci ad una sola misura, stando a una sola parlata, faremo come tanti bravi soldati intorno a una sola bandiera: forti e uniti combatteremo da forti; faremo finalmente un vocabolario, una grammatica sola, chiara, facile anche per gli stranieri che trovan tanto indigesta la nostra lingua: noi tutti allora ci piglieremo più amore e non ci avverrà più di scambiare quelli del nostro paese per inglesi e tedeschi».
Allora l’Italia era, a livello popolare, una nazione debolmente alfabetizzata ed a tal punto separata dai dialetti che, ad esempio, i non pochi liguri e campani, emigrati fin da fine Ottocento in Argentina, per riuscire a capirsi bene fra loro, dovranno adottare il castigliano con la conseguenza che oggi in quel Paese, abitato per metà da discendenti di italiani, c’è scarsa traccia della nostra lingua.
Il vocabolario di Petrocchi, fra Ottocento e Novecento, ebbe fama, circolazione e autorevolezza vastissime tanto che «per oltre mezzo secolo» – fu, come ricorda il suo biografo Luciano Bruschi (Policarpo Petrocchi. Un tempo, un uomo) – «il (…) più diffuso in Italia e molto ricercato dagli stranieri (…) perché, utilmente, dà l’indicazione esatta della pronuncia, separando nettamente la lingua viva dalla lingua morta ed è infine, ricchissimo di esempi raccolti dallo stesso autore».
L’opera fu ritenuta per lungo tempo il vocabolario–tipo della lingua italiana tanto che, ancora nel 1952, veniva detto: «non vi è italiano, anche di modesta cultura, che non conosca ed adoperi anche oggi col massimo profitto il Dizionario Universale di Policarpo Petrocchi».
Pubblicato dai Fratelli Treves di Milano, uscì a dispense fra il 1884 e il 1890, fu poi raccolto nei due volumi del 1887 e del 1891 e riprodotto più volte fino al 1931. L’impresa dell’unificazione linguistica doveva iniziare fin dai banchi della scuola elementare e proseguire durante tutto il corso degli studi e della vita, per cui l’infaticabile Petrocchi produsse varie edizioni ridotte del Novo dizionario affiancandolo ad un voluminoso apparato collaterale di grammatiche, antologie e testi scolastici necessarie per raggiungere un’ampia utenza differenziata.
Oggi il Novo dizionario, assolto il suo compito pedagogico, resta, nel solco delle teorie linguistiche manzoniane propugnate dal Petrocchi, la testimonianza più viva e più ricca dell’uso del fiorentino e del toscano parlato tardo ottocentesco. Petrocchi, sempre instancabile lavoratore, anche quando dagli anni Novanta in poi la sua salute cominciò ad affievolirsi, fu anche stimato e colto conferenziere in autorevoli circoli culturali, autore di una rilevante produzione letteraria e saggistica della quale occorre qui ricordare un’ottima traduzione dell’Assomoir di Zola, elogiata dallo stesso autore, il libro di novelle Nei boschi incantati, il volume Fiori di campo. Letture toscane, la commedia I Vespri, un saggio contro l’impresa coloniale italiana in Africa (Sopra il cosiddetto possedimento italiano a Massaua. Brevi considerazioni), alcune poesie, altri saggi critici sul teatro popolare, sulla letteratura ed in particolare sul Manzoni e sul Carducci, che di Petrocchi fu sempre amico malgrado nel 1895 avvenisse per motivi politici un memorabile scontro fra i due.
Pistoiese di montagna, Policarpo Petrocchi nacque nel piccolo e suggestivo borgo di Castello di Cireglio il 16 marzo 1852 da Luigi di Francesco e da Carolina Geri. La famiglia non era povera per quei tempi, ma non poteva nemmeno esser definita benestante. Ben presto Policarpo fu mandato in città presso lo zio prete a studiare da esterno al locale seminario vescovile, ma il ragazzo, intelligente e sensibile, abituato alla libertà campestre, vivrà con amarezza questo periodo.
Nel 1869 il giovane Policarpo s’innamora di quella che sarà poi la donna della sua vita Clementina Biagini, figlia di un noto medico pistoiese e destinata al matrimonio col benestante notaio Arcangeli dal quale la donna successivamente si separerà. Sempre nelle stesso anno lascia Pistoia e si sposta a Martinengo, nei pressi di Bergamo, per insegnare italiano in un collegio fondato da un monsignore amico dello zio prete, mentre l’anno successivo troviamo Petrocchi a Torino docente presso l’Istituto del prof. Lanza.
Iniziò così l’altra sua basilare attività, l’insegnamento, che condusse sempre con passione, sia come precettore presso privati, sia in varie scuole d’Italia, ma principalmente al Collegio militare di Milano (poi trasferito a Roma) dove così lo rammentava il Maresciallo d’Italia Enrico Caviglia, già suo allievo: «Fra i miei insegnanti egli ha lasciato nella mia memoria, nella mia anima l’impronta più profonda (…) ci apprese ad amare i nostri grandi poeti antichi e moderni (…) Faceva il suo dovere d’insegnante con la coscienza scrupolosa di un apostolo, e nello stesso tempo, per la sua natura franca e leale ci apprese ad esprimere apertamente le nostre idee ed a giudicare con libera mente gli uomini e con spirito critico le idee».
Di questo temperamento Petrocchi darà in molte occasioni concreta testimonianza, come ad esempio nel 1899, quando, vinto il Premio Siccardi con il libro di impronta pacifista Le Guerre, con coerenza presenterà le dimissioni (subito respinte) dalla cattedra del Collegio militare; tra l’altro destinerà totalmente la somma vinta col premio all’attuazione di opere pubbliche in Castello di Cireglio. L’amore per il suo borgo, testimoniato dall’opera postuma Il mio paese, fu infatti costante in Petrocchi. Vi tornava da Milano e poi da Roma ogni estate, con la famiglia che diveniva di volta in volta sempre più numerosa, e nel 1878, secondo gli scopi e i principi che stavano a cuore a Garibaldi, vi aveva costituito la Società Operaia di Mutuo Soccorso.
Due anni dopo, nel 1880, parimenti promosse, con lo scopo di attrezzare il paese di quei servizi e di quelle infrastrutture essenziali che l’amministrazione comunale di Pistoia non si risolveva a fare, la Società Onore e Lavoro di cui Garibaldi fu il primo socio onorario (e che esiste tutt’oggi egregiamente guidata dal nipote Guido Petrocchi). La scorretta gestione della cosa pubblica da parte di una classe dirigente pistoiese ritenuta da Policarpo avida ed ottusa fu infatti una delle sue maggiori preoccupazioni tanto che nel 1901, lui che a Milano ed a Roma era in relazione con personalità quali Filippo Turati o Enrico Ferri, non poté esimersi dal partecipare attivamente alle lotte elettorali cittadine sostenendo, purtroppo senza successo, la coalizione dei “partiti popolari” radicali, repubblicani, socialisti che si opponeva allo schieramento moderato–clericale.
Da giovane Petrocchi, pur ammirando Garibaldi, aveva avuto come punti di riferimento politico soprattutto Cavour e Vittorio Emanuele II, tuttavia col passare del tempo aveva maturato convinte idee repubblicane mostrando altresì (pur non aderendovi) “rispetto e deferenza” per il partito socialista. A ciò era arrivato soprattutto per un’incondizionata insofferenza verso la persona e la politica corrotta, antipopolare e repressiva che, dopo i trascorsi mazziniani, garibaldini e di “sinistra”, conduceva il presidente del consiglio Crispi sorretto dall’«aiuto potente della compagine monarchica». Ai suoi occhi la parabola del politico siciliano, già progressista e trasformatosi poi in paladino della reazione e del colonialismo italiano, era assurta a paradigma del compiuto tradimento delle più alte aspirazioni risorgimentali sulle quali avrebbe dovuto esser fondata, oltre che l’unità politica, anche l’unità morale della nazione.
Per Petrocchi, Garibaldi era l’unico che, per il suo coraggio, la purezza d’animo, il disinteresse verso gli agi, i lussi e le gratificazioni, l’onestà cristallina nella vita pubblica e l’impegno verso le classi più umili, potesse «ancora accendere, al caso di bisogno, questa materia inerte che è il nostro volgo». La notizia della morte improvvisa dell’Eroe fu quindi per Policarpo un colpo tremendo: «Non ci volevo credere» dirà, dando subito disposizioni perché a Castello la Società Onore e Lavoro esponesse «per sei mesi a bruno la bandiera».
Successivamente, quando per il 2 luglio 1882 in Pistoia si organizzarono grandi onoranze funebri, Petrocchi, oltre che far partecipare la Società Onore e Lavoro con sei rappresentanti e con la nuova bandiera, fatta confezionare a Milano per l’occasione, inviò i saluti del Generale ai suoi prodi pistoiesi, che egli stesso aveva raccolto dalla viva voce di Garibaldi nel corso dell’ultima visita dell’Eroe a Milano. Tuttavia Policarpo non fu contento degli onori che in Italia vennero tributati alla memoria di Garibaldi, dato, tra l’altro, che non era stata rispettata «neanche l’ultima volontà dell’estinto, che coll’essere cremato voleva rispondere con una prova di fatto alla imbecille superstizione dei preti!».
Questo spirito fieramente anticlericale a cui era pervenuto Petrocchi, non fu mai pregiudizialmente antireligioso e nemmeno anticattolico ed andava ben oltre il dato storico–politico risorgimentale di avversione al potere temporale dei papi, caratterizzandosi anche per un connotato morale di critica ad un’ipocrisia ecclesiastica, del cui peso personalmente aveva già sofferto in gioventù presso lo zio prete e con la quale si era poi scontrato per la vicenda della sua “immorale”, ma fondata unione con l’amata Clementina Biagini, dalla quale ebbe ben sei figli. E proprio attorniato da quattro dei suoi figli e dagli affezionati compaesani, durante la consueta annuale festa d’estate a Castello di Cireglio, lo colse, il 25 agosto 1902, repentina la morte, stroncando una vita dedicata alla famiglia, al lavoro, allo studio, all’onestà ed a nobili ideali. Notevole fu il cordoglio per la morte di Petrocchi, non solo a Pistoia, ma in tutto il Paese, tanto che persino negli Stati Uniti, a West Pittston–Philadelphia, venne fondata da alcuni emigrati italiani una società di muto soccorso intitolata al suo nome.
Pistoia nel 2002 ha degnamente ricordato il centenario della morte ed 150° della nascita dell’illustre lessicografo con importanti celebrazioni culminate nel prestigioso Convegno nazionale di dicembre del quale verranno pubblicati e presentati gli atti.
Carlo Onofrio Gori