Nobiltà e intellighenzia russa in Toscana
negli anni di Firenze Capitale
Gli scrittori Tolstoj e Dostoevskij, l’uomo politico e filosofo Herzen, il musicista Čajkovskij, il rivoluzionario Bakunin: sono questi i nomi di alcuni viaggiatori russi, per limitarsi ai più noti, che soggiornarono a Firenze intorno agli anni in cui essa fu capitale d’Italia.
Finora non si sapeva molto della folta e qualificata presenza russa a Firenze nell’Ottocento che per i più resta ancora oggi legata al nome dei Demidov, a cui è dedicata una piazza sul Lungarno Serristori. Com’è noto i Demidov, pur continuando a curare il proprio impero industriale in Russia, scelsero Firenze come residenza e dalla loro Villa Medicea di Pratolino influenzarono profondamente la vita culturale cittadina. Ma se ad esempio pensiamo che a Firenze Dostoevskij, nel soggiorno dal 1868 al 1869, nella casa all’angolo tra via Guicciardini e via dei Velluti, terminò il suo romanzo L’Idiota e che proprio qui Stepan Ševyrev diede alla stampe nel 1861 la prima Storia della letteratura russa in italiano, non possiamo non soffermarci su queste importanti presenze.
Per questo, sui russi che vivevano o venivano come turisti a Firenze ed in Toscana, abbiamo sentito il noto slavista Renato Risaliti, coautore con Gamer Butdinov e Felicita Audisio del libro I Drutskoj in Italia, edito recentemente da Le Lettere. Il libro rifà in particolare la storia delle nobili casate russe Zakrevskij e Drutskoj-Sokolinskij che per vicende familiari furono costrette a lasciare la terra di origine e scelsero di vivere nella villa “Il Galceto” di Montemurlo, imparentandosi con note famiglie toscane come i Gori-Pannilini di Siena e facendo di questa residenza estiva una “piccola Russia”.
«Nel periodo che va dalla Restaurazione all’Unificazione, ma soprattutto nel decennio 1860–1870, Firenze si può dire affollata di russi e mai si era vista una presenza così massiccia di maggiori ingegni in un tempo così ristretto, infatti sono oltre duecento i personaggi russi che qui soggiornano» – ci dice il prof. Risaliti – «un numero dieci volte inferiore alla nota contemporanea presenza anglosassone, tuttavia un numero sufficiente per affermare che i ricercatori che indagano su questo periodo e che si limitano ai soli documenti diplomatici compiono una distorsione grave che trascura la realtà e la ricchezza di questi rapporti italo–russi, questo perché nei saggi di politica estera dell’Italia unita si sono seguite troppo le vicende franco–austriache e c’è un illustre assente che si chiama Russia. Infatti non è stato tenuto in debito conto che c’erano due imperi, quello inglese e quello russo che si contendevano l’egemonia ed avevano finito per dividersi le rispettive sfere d’influenza che andavano dal Mediterraneo all’Estremo Oriente: le altre grandi potenze erano in posizione subalterna a questi due imperi grazie al cui consenso fu possibile il compimento dell’unità d’Italia».
Segno dell’importanza che in Russia si attribuiva alla Toscana fu la permanenza a Firenze dal 1863 al 1874 della granduchessa Marija Nikolajevna, figlia dello zar Nicola I, che dalla sua villa di Quarto, oltre a mantenere importanti contatti diplomatici, promosse la costruzione della chiesa ortodossa in città che poi trovò la sua sede definitiva in via Leone X.
Ma veniamo agli scrittori iniziando, dal progressista Lev Tolstoj. L’autore di Guerra e pace arrivò a Firenze fra il 1860 il 1861 durante il suo secondo viaggio in Italia, vi conobbe il decabrista di origine italiana Poggio ed ebbe modo di osservare molti aspetti di alcune sperimentazioni pedagogiche che avrebbero poi influenzato il carattere dell’esperienza della sua scuola di Jasnaja Poljana che può essere considerata una delle fonti ispiratrici della scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij fu a Firenze due volte, la prima nel 1863 per soli due giorni e la seconda insieme alla moglie Anna Grigor’evna Snitkina dal dicembre 1868 al maggio 1869 quando vi scrisse L’Idiota. Così scriverà all’amico N.N. Strachov suo compagno nel primo viaggio: «…quei due giorni a Firenze non li passammo male. Adesso Firenze è alquanto più rumorosa e variopinta, la folla nella strade è enorme. Molta gente è affluita alla capitale: la vita è parecchio più cara di prima». Mentre scrivendo ad un altro amico, A.N. Majkov, lo scrittore afferma: «Firenze è bella, ma molto umida. Ma le rose fioriscono ancora nel giardino di Boboli, all’aria aperta. E quali tesori nelle gallerie. (…) quanto ancora di divino. Ma ho lasciato tutto fino alla fine del romanzo. Mi sono chiuso fra quattro mura».
Ma a Firenze in questo periodo non c’erano solo questi due grandi della letteratura mondiale: una figura meno conosciuta, ma importante per avere un quadro della presenza russa in quel periodo, è il pittore Nikolaï Gay appartenente alla generazione degli Ambulanti, un gruppo di pittori ostili all’accademismo e desiderosi di rinnovare la società mediante l’arte tanto che, sotto l’influsso dello stesso Tolstoj, dedicherà gli ultimi anni della sua vita ad un ciclo sulla passione di Cristo, culminato ne La Crocifissione, dipinta verso il 1892. Gay ebbe il merito di conoscere e far conoscere i “toscanissimi” macchiaioli e di promuovere l’impressionismo in Russia, ma soprattutto fece della sua casa fiorentina il “Salotto blu”, cioè il punto di ritrovo dall’intellighenzja progressista russa in Toscana.
Fra i tanti russi che in periodi diversi frequentano questo famoso ritrovo troviamo il rivoluzionario anarchico Michail Alexandrovič Bakunin, che si trattenne a Firenze più di un anno, Aleksandr Ivanovič Herzen, considerato il padre del populismo russo, suo figlio Aleksandr Aleksandrovič, scienziato e propugnatore del darwinismo a Firenze (e qui entrerà in forte polemica con Capponi, Lambruschini e Tommaseo), l’antropologo fondatore della linguistica moderna Aleksandr N. Veselovskij, amico di Carducci e conoscitore delle opere del montalese Gherardo Nerucci, Lev Mečnikov, ufficiale garibaldino, che poi farà conoscere in Russia, tramite la rivista «Iskra», le poesie del Giusti.
Anello di congiunzione di questa folta colonia russa che, oltre ad restare affascinata dell’arte e dal paesaggio toscano, ammira profondamente sul piano politico Garibaldi, è l’intellettuale italiano Angelo De Gubernatis che tramite la «Rivista europea» diffonderà in Italia le prime traduzioni dei romanzieri russi.
Infine dal 1874 al 1890 soggiornerà ben sei volte in Firenze, componendovi La Pulzella d’Orléans (1878) ed il suo capolavoro La Dama di Picche (1890), il celebre musicista Pëtr Il’ič Čajkovskij che già nel maggio 1874 scriverà al fratello Modest: «…Firenze mi è molto piaciuta. (…) è una città unica al mondo come Mosca e anche Parigi».
Carlo Onofrio Gori