Storia del colonnello Stefano Dunyov
Un eroe garibaldino a Pistoia
Due lapidi, poste all’altezza del n. 19 della centralissima via Verdi (già via della Pillotta), ci ricordano che la schiera dei circa 250 garibaldini pistoiesi1 può a buon diritto comprendere anche un noto combattente di origine straniera: il colonnello Stefano Dunyov, che dal 1871 si trasferì a Pistoia dove visse per diversi anni fino alla morte.
Desta curiosità il fatto che la lapide laterale all’ingresso, posta il 5 ottobre 2002 a cura dell’Istituto Storico Fraknói dell’Accademia d’Ungheria in Roma, porti iscrizioni bilingui ungheresi e bulgare, mentre in quella più antica, di colore nero, situata in alto, Dunyov venga invece tout–court definito “figlio della Bulgaria”: il colonnello era dunque bulgaro o ungherese? Domanda legittima visto che gli storici dei due paesi ne hanno a lungo rivendicato l’appartenenza2.
Ma il “mistero” è presto svelato: Dunyov nasce, suddito ungherese dell’Impero d’Austria, il 21 luglio 1816 a Vinga (Banato settentrionale), cittadina posta fra Timişoara ed Arad, nel Comitato (provincia) di Temes, in un territorio oggi appartenente alla Romania. A Vinga era maggioritaria (oggi raggiunge il 25%) una comunità bulgara di religione cattolico–romana, rifugiatasi lì dal ‘600 per sfuggire all’espansione ottomana, ed in essa, come rivela il cognome, stavano le origini di Dunyov, anche se per lingua e cultura lui dichiarerà sempre di essere «ungherese fiero della mia nazionalità»3.
Comunque, al di là dell’appartenenza, viene spontaneo osservare che il nascere nella “grande Transilvania”, popolata da romeni, ungheresi, serbi, e da minoranze tedesche, slovacche, ebree, ucraine, armene e bulgare, doveva già di per sé predisporre una persona al contatto con genti e culture diverse e non ci può quindi stupire se l’ungherese di origine bulgara Dunyov si batterà poi per l’indipendenza del nostro Paese morendo a Pistoia da cittadino italiano.
Il giovane Istvan (in bulgaro Stefan) frequenta ad Arad un corso di filosofia e poi compie brillantemente i suoi studi di giurisprudenza a Budapest4. A 32 anni è già uno dei più noti avvocati di Arad: è il 1848 e tutta l’Europa è scossa da sommovimenti in cui si intrecciano motivi politici, economici, sociali e nazionali.
Nell’Impero Asburgico si ribella la stessa Vienna e subito dopo italiani, cechi ed ungheresi prendono le armi per l’indipendenza. In aprile il leader dei patrioti magiari Lajos Kossuth riesce ad organizzare l’elezione a suffragio universale di un parlamento, ma già in ottobre i comandi austriaci, pur impegnati su vari fronti e ostacolati dalle manifestazioni dei democratici viennesi, sono in grado di muoversi contro Budapest. Tuttavia la rivolta magiara, pur minata delle diatribe fra rivoluzionari ungheresi e fra questi ed i romeni, poté esser stroncata solo grazie al massiccio intervento, sollecitato da Francesco Giuseppe, del potente esercito russo dello zar Nicola I. E proprio combattendo contro i russi a Segesvár, in Transilvania il 31 luglio 1849, morirà a 26 anni il cantore della libertà magiara, il poeta Sandor Petöfi.
Anche Dunyov, nominato tenente il 1 gennaio 1849, poi capitano ed infine maggiore, combatté valorosamente contro austriaci, serbi e russi fino alla battaglia di Temesvár (Timişoara) del 9 agosto 1849 che vide la definitiva sconfitta dell’esercito repubblicano ungherese. Fatto prigioniero, venne poi condannato alla forca come traditore, pena che l’imperatore, il 15 luglio 1852, commutò in dieci anni di detenzione nella famigerata fortezza del sobborgo praghese di Josephstadt. Nel 1857 venne amnistiato e destinato al soggiorno obbligato a Pest dove, mai perso d’occhio dalla polizia austriaca, sopravvisse arrabattandosi fra un modesto impiego e l’attività di scrittore di articoli d’economia.
Nel 1859 la notizia della guerra franco–piemontese contro l’Austria diede nuovo vigore agli emigrati ungheresi e Kossuth, László Teleki e György Klapka, crearono una sorta di governo in esilio che, consenziente Cavour, concluse un accordo con Napoleone III, in base al quale venne costituita una legione magiara in Italia: i volontari avrebbero marciato sull’Ungheria solo nel caso in cui eserciti italiani o francesi fossero arrivati alle frontiere di quel Paese. La vittoria arrise ai franco–sabaudi, tuttavia la repentina fine del conflitto sancita dall’Armistizio di Villafranca non permise l’impiego in Ungheria dei tremila uomini. Anche Dunyov, fuggendo da Pest munito di passaporto piemontese, si diresse in Italia, ma a causa del lungo e avventuroso viaggio non fece in tempo a partecipare al conflitto. Riuscì comunque a rendersi utile aiutando il connazionale conte Bethlen nella pacificazione dei volontari, forzatamente inattivi e pertanto fortemente inquieti, e quindi passò al neocostituito esercito dell’Emilia, che affrancatasi dalle sovranità papalina e ducali, si stava avviando, come la Toscana, al plebiscito di unificazione al regno sabaudo.
Nel 1860 molti legionari ungheresi seguirono Giuseppe Garibaldi nella spedizione dei Mille, ma di loro verranno poi ricordati soprattutto gli ufficiali: Türr, Eber, Tukory, Eberhardt, Teloky, Magyarody, Figgelmesy, Czudafy, Frigyesy, Winkler e lo stesso Dunyov. Occorre infatti mettere in luce che per motivi nazionalistici la storiografia post–risorgimentale, non potendosi esimere dal ricordare i nomi degli ufficiali stranieri stretti collaboratori del Generale, sottovaluterà non poco l’entità numerica ed il ruolo svolto nella campagna meridionale dai contingenti di volontari ungheresi, polacchi, tedeschi, francesi, inglesi, con presenze di russi, americani, algerini, indiani, arabi, ecc. Di ciò si trova oggi conferma nello straordinario reportage del garibaldino russo–ucraino Lev Ili’ič Meč’nikov: l’inedita testimonianza, rintracciata negli archivi russi dallo storico ucraino Nikola Varvartzev e tradotta in italiano dal prof. Renato Risaliti, verrà prossimamente pubblicata a cura del Comitato ministeriale per il Bicentenario5.
Anche Dunyov, partendo con la spedizione Sacchi insieme all’amico Luigi Winkler, il 23 luglio 1860 raggiunge il Generale: in Sicilia ha il compito di costituire il 20° battaglione della 2ª brigata “Palermo” della 16ª divisione “Cosenz” ed in questo lusinghiero e delicato incarico è così abile che in breve riesce a raccogliere ben 400 uomini.
Col suo battaglione viene, suo malgrado, impegnato nel corso dei dolorosi fatti di Bronte, poi risale la Penisola e giunge a Napoli liberata dove Garibaldi, ammirato dalle sue capacità, all’inizio di settembre lo nomina colonnello comandante il 2° reggimento della 3ª brigata “Eberhardt” nella 17ª divisione “Medici”. Successivamente il Generale volle quel contingente assumesse la denominazione di “Reggimento Dunyov”. Mentre i borbonici progettavano la riconquista di Napoli ed era imminente la Battaglia del Volturno, Kossuth invitava a Dunyov a rientrare in patria per svolgervi una delicata missione, ma questi da Maddaloni, dove era attestato, pur ringraziando per la fiducia, rispose che non poteva, sfuggendo allo scontro decisivo, venir meno al suo onore di militare: Kossuth riconobbe la validità delle sue ragioni e Dunyov poté così partecipare alla difesa di quel luogo, definito dal Generale «le nostre Termopili»6.
E proprio a Maddaloni, 1 ottobre, Dunyov, mentre per la terza volta si spingeva al contrattacco di preponderanti forze avversarie, venne gravemente colpito da una fucilata alla gamba sinistra; tuttavia il colonnello continuò ad incitare i suoi soldati sino a che venne trasportato in un mulino in vicinanza di Ponte della Valle, dove ricevette le prime sommarie medicazioni, presto interrotte da un nuovo attacco borbonico. Il brigadiere Carlo Eberhardt fece appena in tempo a sottrarre Dunyov alla cattura da parte del nemico e solo con ritardo il connazionale tenente Leopoldo Ovary poté poi occuparsi del suo ricovero in un ospedale di Napoli dove, per l’avanzato stato di cancrena, fu necessario amputare la gamba. Un noto volontario garibaldino francese che prese parte a quello scontro, lo scrittore e fotografo Maxime Du Camp, così descrisse il suo eroismo: «A Maddaloni la lutte fut terrible (…) le régiment, qui servait de grand–garde à Ponte della Valle, et que commandait le colonel Dunyov, fut décimé; Dunyov, resté au feu malgré une atroce blessure (…) tint ferme jusq’au bout, et c’est peut–être à sa fermeté que l’on doit d’avóir pu se maintenir à Maddaloni, d’où à midi les royaux étaient définitivement expulsés»7.
Il Generale, informato dell’amputazione, gli scrisse: «Caro Colonnello Dunyov, Ad uomini come Voi non bastano elogi. Per parte mia desidero soltanto che a prò della vostra e della mia Patria sia conservata la preziosa Vostra vita al nostro affetto, alla nostra gratitudine. Sempre vostro G. Garibaldi»8.
Al termine della Campagna, per riconoscimento del suo valore, Dunyov fu ammesso nell’esercito italiano, ma venne al tempo stesso collocato in aspettativa, e suo malgrado, tanto che quando sarà poi invitato a presentare la domanda di pensione, la sua indignazione ed esasperazione non conosceranno limiti; scriverà infatti: «È più che naturale che l’elemento garibaldino vada estirpato, a tutti i costi, dall’esercito»9.
Nel 1862 anche gli uomini della Legione ungherese vennero impiegati dal governo italiano nella cruenta, lunga e “sporca” guerra contro il “brigantaggio” meridionale, ma disgustati per l’ingrata opera di repressione, rifiutarono poi di obbedire agli ordini e si misero in movimento da Lavello, Melfi e Venosa, dove erano stanziati, per concentrarsi a Nocera: bloccati e disarmati per ordine di La Marmora, furono imbarcati a Salerno il 13 agosto e deportati in Piemonte. Alla notizia del ritorno di Garibaldi in Sicilia per dirigersi su Roma, 150 di quei deportati riuscirono a fuggire con lo scopo di raggiungere il Generale ed anche Dunyov, dall’isola d’Ischia ove si trovava in convalescenza, si mise a disposizione trasferendosi a Napoli e provvedendo in loco alla raccolta di munizioni, ma il doloroso episodio di Aspromonte del 27 agosto pose fine alle speranze di una nuova grande impresa garibaldina. Dal 1863 il colonnello prese stabile dimora a Genova dove poté ricevere le visite di suo fratello Giuseppe, anch’egli internato ad Asti in seguito alla ribellione di Nocera.
Nel 1867 Dunyov, alla notizia dell’accordo e dell’unione tra Austria ed Ungheria, rinunciò a tornare in patria e si trasferì a Torino, dove risiedeva anche Kossuth, ma non dimenticò mai la sua terra, per la quale si batté ancora con gli scritti e devolvendo generosamente le sue rendite in Transilvania ai patrioti ungheresi del 1848–49.
Lo sostenne in queste scelte il Generale che da Caprera, il 3 gennaio 1869, così gli scrisse: «Mio caro Dunyov, Che l’Ungheria e l’Italia sono sorelle lo prova la gamba perduta eroicamente da Voi sui campi di battaglie italiane, ove (…) faceste bello il nome magiaro. Alla democrazia ungherese io dirò una parola sola: (…) Fuori l’Austria! (…) il resto verrà da sé. V’invio due linee (…) un saluto affettuoso (…) e sono vostro per la vita. F.to G. Garibaldi»10.
Poco dopo la conquista di Roma, per ragioni di salute, Dunyov lasciò Torino e si trasferì a Pistoia, dove ottenne la cittadinanza italiana e visse con la moglie Antonietta Talamini, sposata in quel tempo, e con i suoi sette figli: Minerva, Leonida, Aurora, Olimpia, Vittorio, Giuseppe e Amelia.
Nel 1879 ebbe l’onore di ricevere nella sua casa di via della Pillotta, nella quale abitava dal 1876, la visita di Kossuth, l’uomo che insieme a Garibaldi ammirava di più, e nello stesso edificio, vedovo da ormai più di due anni, moriva il 30 agosto 1889.
Per il suo eccezionale contributo alla nostra indipendenza era stato insignito della Croce dell’Ordine Militare di Savoia, di quella dei Santi Maurizio e Lazzaro e di quella della Corona d’Italia ed il governo italiano provvide dunque, come ci rivelano alcuni incartamenti conservati nella Biblioteca Forteguerriana, a nominare un tutore per i suoi figli, tutti minorenni, nella persona del pistoiese colonnello Canini.
Carlo Onofrio Gori
Note
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Cfr. C.O. Gori: Giuseppe Civinini. Profilo di un garibaldino pistoiese. , in «Camicia rossa», n. 2 (mag–lug. 2002); Pistoia e Garibaldi: storia di un “tormentato” monumento equestre, in «Camicia rossa», n. 4 (nov. 2002–gen. 2003); O Roma o morte! Garibaldi e le giornate “pistoiesi” del 1867, in «Camicia rossa», n. 1 (feb.–apr. 2004). ↩
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Cfr. (tra gli altri): I. Petkonov, Riflessi del Risorgimento in Bulgaria, in «Rassegna storica del Risorgimento», fasc. 3 (lug.–set. 1966); L. Lukacs, Osservazioni sull’attività del garibaldino Stefano Dunyov, in «Rassegna storica del Risorgimento», fasc. 2 (apr.–giu. 1967). ↩
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L. Lukacs, op. cit., p. 269 ↩
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Queste ed altre notizie su Dunyov, oltre che dagli articoli sopra cit., sono tratte da: Dizionario del Risorgimento Nazionale, vol. III. Le Persone. Fasc. A–D, Milano, Vallardi, 1930; Rassegna storica del Risorgimento, fasc. 1 (gen. 1935); R. Melani, Un garibaldino ungherese nella città di Pistoia, in «Bullettino storico pistoiese», 1962. ↩
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Cfr. Lev Ili’ič Meč’nikov, Memorie di un garibaldino. La spedizione dei Mille, traduzione e cura di Renato Risaliti, presentazione di Lauro Rossi, postfazioni di Mykola Varvarcev e Renato Risaliti, Torino, CIRVI, 2008 e C.O. Gori, Lo straordinario reportage del garibaldino russo–ucraino Lev Ili’ič Meč’nikov, in «Camicia rossa», n. 1 (gen.–mar. 2007) ↩
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G.C. Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle d’uno dei Mille, Milano, Mondatori, 1980, p. 150. ↩
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M. Du Camp, Expédition des Duex Siciles, Paris, Calman–Lévy, 1861, cit. in R. Melani, Un garibaldino…cit., p. 35 ↩
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In R. Melani, op.cit., p. 35. ↩
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L. Lukacs, Osservazioni…, cit., p. 270. ↩
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R. Melani, op.cit., p. 34. ↩