Granducato di Toscana contro Ducato di Modena
Nel 1848 una guerra di confini mancata per poco
Questa è la cartina della parte Nord–Ovest del Granducato di Toscana nel 1843, che sostanzialmente (salvo alcune temporanee e transitorie variazioni) aveva riportato l’Europa alla status quo ante la “tempesta” napoleonica rimettendo i sovrani sui loro troni.
Come vediamo un territorio, anche per ragioni antiche e storiche locali (feudi, vescovadi, comuni) frastagliatissimo, ricco di enclaves ed exclaves (…secondo il punto di vista…).
Seguendo la cartina a sinistra, mettiamoci quindi nei panni di un cittadino del Granducato di Toscana che avesse voluto andare, magari per affari, ovviamente in diligenza, da Firenze a Parma passando per la via più agevole e cioè la Costa e poi la Lunigiana. Ebbene, il nostro viaggiatore parte da Firenze e passa per Prato e Pistoia ed alla Dogana del Cardino nei pressi di Pescia tira fuori il passaporto per entrare nel Ducato di Lucca, dove magari, visti i tempi dei viaggi d’allora (vedi Francesco Benedetti, poeta carbonaro), si ferma con gli altri viaggiatori a rifocillarsi e dormire in una stazione di posta mentre il fiaccheraio che faceva anche da procaccia, cambia i cavalli.
Il mattino seguente si prosegue, e nei pressi di Camaiore, il “nostro” lascia il territorio lucchese e rientra nella “Patria Granducale”, e cioè nell’exclave toscana di Pietrasanta–Stazzema–Serravezza, ma per pochissimi chilometri perché a Montignoso, exclave del Ducato di Lucca, deve un’altra volta passar dogana e mostrare il passaporto ai doganieri lucchesi.
È questo per lui un tratto di breve tregua burocratica perché arrivato nei pressi di Massa, che fa parte, come previsto al Congresso di Vienna, dal 1829 (cioè da quando con la morte di Beatrice d’Este si estinse il Ducato di Massa–Carrara) del Ducato di Modena e Reggio, il nostro ormai affaticato viaggiatore si deve nuovamente e pazientemente sottomettere alla pratiche di frontiera gestite dai doganieri e gendarmi lucchesi da una parte e modenesi dall’altra.
Prosegue, e arrivato nei pressi di Sarzana entra nei territori liguri del piemontese Regno di Sardegna e, ovviamente deve nuovamente scendere e mostrare agli addetti sabaudi il suo passaporto granducale e sottoporsi al controllo dei bagagli. Ma anche qui può respirare solo per un breve tratto, perché ben presto, dirigendosi verso Aulla, rientra nel territorio del Ducato modenese… e anche qui…nuovi controlli…dopo Aulla arrivando a Terra rossa ritorna, quasi senza accorgersene, in una nuova exclave della “Patria Granducale” toscana. Fuggevole aria di Patria che dura pochissimi chilometri, quando trova una nuova frontiera al momento che la diligenza entra in una piccola exclave territoriale modenese, passata la quale, dirigendosi verso Pontremoli (più grande exclave del Granducato di Toscana) rientra nuovamente…in Patria. Lì magari si ferma con gli altri viaggiatori in una locanda a mangiare e dormire e finalmente la mattina dopo può tirar fuori, per l’ultima volta nel viaggio d’andata, il passaporto al vicino confine col Ducato di Parma e Piacenza e Guastalla e dirigersi verso la capitale di quest’ultimo Ducato padano.
Questo oggi breve, ma allora lungo, dato i tempi dovuti ai mezzi, alle strade ed agli incomodi, e per molti versi, col metro d’oggi, “allucinante” viaggio del “nostro” ipotetico uomo d’affari fiorentino, contribuisce a farci capire la necessità economica (pensando ad esempio anche ai balzelli gravanti sulle merci che dovevano, in un tratto tutto sommato breve, superare quella pletora di confini) ancor prima che politica ed ideale, dell’Unità nazionale e del Risorgimento.
La cartina che qui mostriamo, s’è detto, è del 1843, ma pochi sanno che proprio in questo e per questo confine frastagliatissimo, che il Granducato di Toscana ed il Ducato di Modena, ambedue retti da principi di Casa d’Asburgo (come vediamo anche dalle bandiere del tempo, di chiara foggia austriaca, che abbiamo mostrato nella cartina) Francesco V d’Este di Modena e Leopoldo II di Toscana, pochi anni dopo, nel 1847, cioè alle soglie di quel fatidico 1848 che avrebbe portato l’Europa e l’Italia a grandi sommovimenti, non andarono, fra loro, molto lontano dal conflitto armato.
Ma vediamo come andò questa “curiosa” faccenda partendo dagli antefatti e cercando, vista anche l’implicazione di complesse questioni dinastiche, di riassumere il più possibile. C’è stato in tal senso, utilissimo e prezioso, anche il libro curato e pubblicato dall’amico prof. Renato Risaliti dell’Università di Firenze e cioè: Augusto Marescotti, Diario inedito 1847–1848 (Torino, CIRVI, 2011). Per la cronaca storica Augusto Marescotti era un patrizio lucchese originario dei territori pontifici (diverrà poi il suocero di Ferdinando Martini) ed un patriota italiano e nel suo Diario ci descrive da Lucca e dalla Toscana (grazie anche ai suoi viaggi ed suoi ai contatti con patrioti pisani, livornesi fiorentini ecc.) i cruciali momenti del passaggio del Ducato di Lucca al Granducato di Toscana e il processo di “costruzione” del 1848 in quella zona.
Dunque, il Congresso di Vienna (1814–1815) aveva attribuito a Maria Luisa d’Asburgo–Lorena, già moglie di Napoleone e Imperatrice dei Francesi, il Ducato di Parma. Era previsto che alla sua morte il trono parmense sarebbe tornato ai Borbone-Parma che in epoca napoleonica avevano regnato in Toscana come Re d’Etruria e che poi avevano ricevuto la sovranità di Lucca, antica Repubblica oligarchica, cancellata da Napoleone ed ora eretta a Ducato: alla morte della ex–Imperatrice dei Francesi quando il Duca di Lucca nella persona del suo sovrano Carlo I (Carlo Lodovico di Borbone-Parma), fosse tornato sul trono di Parma, il Ducato di Lucca sarebbe stato annesso al Granducato di Toscana.
Dal Congresso di Vienna la Toscana, tornata ai Lorena nella persona del sovrano Ferdinando III, usciva, oltre con queste promesse, anche con alcuni non vasti, ma immediati e significativi ingrandimenti territoriali, infatti acquisiva il Principato di Piombino, in passato Signoria degli Appiani e lo Stato dei Presidi Spagnoli, estendendo quindi la propria sovranità su tutta l’Isola d’Elba sulla quale possedeva, fin dall’epoca del Principato mediceo, solo Cosmopoli, successivamente e fino ad oggi denominata e nota come Portoferraio.
In seguito a ciò venne stabilito che la Toscana, al momento dell’annessione di Lucca, cedesse a Modena i Vicariati di Pietrasanta, con la Versilia, e di Barga, con la Garfagnana: da notare che le città di Pietrasanta e Barga, pur geograficamente poste in mezzo al territorio lucchese erano antiche exclaves di storica, e ben accetta da quelle popolazioni, sudditanza fiorentina, e quindi, per il Granducato, terre “toscanissime”.
Ma il dettato del Congresso di Vienna non escludeva, nel caso che gli Stati coinvolti nello “scambio territoriale” lo considerassero reciprocamente conveniente, di trovare anche diversi accomodamenti con reciproca soddisfazione. Ed in effetti, dopo estenuanti e complicati negoziati, il 28 novembre 1844, avvenne proprio così, quando con il “Trattato di Firenze” venne siglato un accordo segreto dal Granducato di Toscana, dal Ducato di Modena e dal Ducato di Parma, alla presenza degli ambasciatori dell’Impero d’Austria e del Regno Sardegna. Questo accordo sanciva uno scambio di territori, sulla rive del fiume Enza, tra il Ducato di Parma e quello di Modena, mentre la Toscana avrebbe conservato Pietrasanta e Barga, ma contemporaneamente avrebbe dovuto disfarsi della Lunigiana con la cessione di Fivizzano a Modena e di Pontremoli a Parma.
Dunque il Granducato avrebbe alla fine perso Fivizzano e Pontremoli: anche in questa circostanza si trattava di città e territori circostanti di antica tradizione toscana perché già dal 1400 quelle popolazioni lunensi spontaneamente si erano messe sotto la protezione della Repubblica di Firenze.
Lo scambio suddetto doveva scattare nel momento in cui Carlo Lodovico Duca di Lucca rientrasse a Parma ed il Ducato di Lucca sparisse entrando a far parte del Granducato di Toscana.
Ma arriva una complicazione: nel settembre 1847 anche nel Ducato di Lucca, come nelle altri parti d’Italia e d’Europa, si ebbero manifestazioni di piazza e tumulti per chiedere quelle riforme e concessioni che Leopoldo II nel vicino Granducato aveva già in gran parte elargito.
Il 1° settembre 1847, Carlo Lodovico, spaventato dalle manifestazioni popolari promosse dai “riformatori” costituzionalisti lucchesi, firmò una serie di concessioni e scappò subito dalla città, ma dopo tre giorni, questa volta sotto la pressione di illustri e esponenti del notabilato ducale, tornò a Lucca, dove quest’ultimi fecero in modo che venisse accolto trionfalmente da funzionari, impiegati, servitori e contadini materialmente legati alle sorti della “conservazione”.
Tuttavia, Carlo I non era in grado di far fronte alla rinnovata pressione popolare dei “riformatori” lucchesi e il 9 settembre fuggì definitivamente nel Ducato di Modena. Qui, Francesco V, lo esortò a invocare l’intervento austriaco.
Leopoldo II di Toscana, ormai avviato sulla strada delle riforme, informato e allarmato da questa eventualità, operò affinché Carlo Lodovico anticipasse la reversione del ducato di Lucca a favore della Toscana, togliendo così ogni pretesto per un intervento dei suoi “retrivi” parenti austriaci e così in effetti andò.
Il 4 ottobre 1847 Carlo Lodovico abdicò in favore del Granduca di Toscana, e in cambio della sua immediata rinuncia alla sovranità su Lucca ricevetta dal Granduca toscano una rendita annua di L. 1.200.000 sino alla reversione del Ducato di Parma. Questo esborso sarebbe risultato oltremodo oneroso per le finanze toscane se, il 17 dicembre dello stesso anno, la Duchessa Maria Luisa non fosse spirata permettendo così il 31 dicembre 1847, a Carlo Lodovico di insediarsi a Parma sul trono dei suoi antenati con il nome di Carlo II.
Dunque l’11 ottobre 1847 il marchese Pier Francesco Rinuccini prende possesso, in nome di Leopoldo II, del Ducato di Lucca.
A questo punto viene denunciato il “Trattato di Firenze” del 1844: il Ducato di Parma perde l’exclave di Guastalla (Comuni di Guastalla, Luzzara e Reggiolo) a favore del Duca di Modena, ma acquista alcuni territori della Lunigiana e prima fra tutti la città di Pontremoli, mentre il Duca di Modena, in virtù della stessa transazione diplomatica, si annette a sua volta i territori garfagnini e lunensi di Minucciano, Castiglione di Garfagnana (de facto occupato e governato da Modena fin dal 1820), Gallicano e Montignoso, già appartenenti al Ducato di Lucca.
Per prendere possesso dei nuovi territori dell’ex–Ducato, Leopoldo II, sovrano riformatore all’apice della popolarità, partì il 14 ottobre 1847 da Firenze alla volta di Lucca accompagnato dalla Granduchessa Maria Antonia e dal figlio Ferdinando, Gran Principe di Toscana.
Il viaggio del Lorena fu più che trionfale: già a Pescia, poco prima di varcare il vecchio confine, venne accolto da una pioggia di fiori, e arrivato nei territori dell’ex–ducato il popolo lucchese lo acclamò al grido di “viva il Liberator d’Italia! Principe Riformatore!”. Ma nei pressi delle mura di Lucca, qualcuno pose il problema della cessione dei territori a Nord–Ovest del Granducato, infatti una voce prevalse sulle altre: “La gioia non è completa. La Lunigiana piange, i fratelli…venduti al traditore!!!” [leggi: il Duca di Modena, n.d.A].
Il Sovrano toscano ne dovette tener conto e il giorno dopo ricevette in Lucca una delegazione di esuli pontremolesi e lunensi, ormai quasi neo–sudditi, alcuni del Ducato di Modena, altri del Ducato di Parma, che “colle grida, coi pianti, colle disperazioni” chiesero al Granduca il ritorno sotto la sovranità toscana: Leopoldo II, commosso dalla manifestazione d’affetto, ma sempre attento a non suscitare l’ira dei parenti austriaci, consigliò loro calma e prudenza politica.
Ma per la faccenda delle terre di Lunigiana in procinto di divenire per i toscani “irredente”, non solo nella neo–acquisita Lucca, ma anche in Livorno, Pisa e Firenze ecc., si fanno sottoscrizioni per i Lunensi, si promuovono manifestazioni e si invoca guerra contro il Duca di Modena e molti volontari vogliono arruolarsi nell’esercito granducale.
Leopoldo II si attiva subito: scrive al Re di Sardegna, al Duca di Modena e, soprattutto, all’ “ottimo Zio” Arciduca Ranieri, Viceré del Lombardo–Veneto. A quest’ultimo, che nella crisi rappresentava ovviamente “l’uomo forte”, il Granduca rappresenta la profonda avversione da parte delle popolazioni, lunensi–toscane a passare sotto il dominio estense, offre la disponibilità a risolvere la questione mediante cospicua offerta di denaro ed si dice disposto ad offrire in cambio anche alcuni suoi antichi e personali possedimenti feudali in Boemia, ed infine rispettosamente sollecita lo “zio d’Austria” ad intercedere in tal senso presso il Duca di Modena Francesco V .
Ma il reazionario “parente” modenese, sordo ad ogni accomodamento, stringendo i tempi, bellicosamente “rilancia” ed il 5 novembre 1847 invia le sue truppe ad occupare l’exclave toscana di Fivizzano, la cui popolazione resiste ai 400 soldati estensi guidati da un capitano che di cognome faceva …Guerra…(anche in questo caso di può dire a buon ragione…habent sua fata nomina…oppure…nomina sunt consequentia rerum…).
In Fivizzano occupata si ebbero scontri a fuoco con feriti e caduti, e la ripercussione a Firenze ed in tutto Granducato fu enorme e venne, da ardenti manifestazioni popolari, nuovamente richiesta la guerra contro Modena.
Questa volta il Granduca si rivolse anche all’Arciduca Luigi d’Austria, anch’egli suo zio, membro del Consiglio della Corona che governava per l’Imperatore Ferdinando I, accusando il “cugino” estense Francesco V e le sue truppe modenesi occupanti, di aver iniziato le ostilità sparando “sul popolo inerme e non tumultuante” della ancora granducale Fivizzano.
La situazione stava paurosamente precipitando: i Modenesi da Massa inviarono dei cannoni al confine toscano, Carlo Alberto re di Sardegna, inviò truppe a Sarzana la città “piemontese” più vicina al confine col Ducato di Modena, mentre Leopoldo II fece altrettanto rafforzando la guarnigione dell’exclave granducale (non ancora ceduta) di Pontremoli, inoltre la sera del 13 novembre da Firenze, con gran tripudio di folla, mandò truppe a presidiare il confine toscano verso Massa alla Torre di Porta (l’attuale Forte dei Marmi) ed il Cinquale, fino a Pietrasanta e Montignoso.
Ma Leopoldo II, uomo mite e timoroso, informato che il maresciallo Radetsky aveva rassicurato Francesco V che, in caso di conflitto con la Toscana, il Ducato di Modena avrebbe potuto contare sull’appoggio militare dell’Austria, si preoccupò e contemporaneamente chiese la mediazione di Pio IX e del Re di Sardegna Carlo Alberto, orientato in senso costituzionale (vd. Statuto albertino) e pronto in caso di guerra a schierare il Piemonte a fianco della Toscana.
Grazie anche all’intervento del Papa e del Re di Sardegna si giunse quindi ad un accomodamento del tutto formale che scongiurò la prosecuzione delle ostilità, ma che fu nella sostanza sfavorevole al Granducato di Toscana: Modena disconobbe l’operato del suo capitano Guerra, le truppe Estensi lasciarono Fivizzano, dove fece il suo ingresso il Commissario Toscano; questi, il giorno seguente, esplicate le formalità diplomatiche di rito, consegnò ufficialmente in nome del Granduca la città lunensi alle autorità modenesi, che prontamente ritornarono in quelle terre con le loro truppe.
Dal canto suo Leopoldo II elargì un donativo ai “sacrificati” Fivizzanesi e particolare alle famiglie che avevano pianto sofferenze e lutti.
Ma qualcosa di storicamente più importante di queste “provinciali” dispute e scaramucce di confine (…spesso le guerre, nei disegni dei “capi”, servono per distogliere le popolazioni dai problemi “veri”…) stava accadendo in giro: il “rivoluzionario” 1848 rimetteva in gioco tutte le carte e il 21 marzo, in seguito ai tumulti popolari di Vienna ed alla rivolta di Milano, Francesco V fuggiva da Modena ed altrettanto faceva da Parma il Duca Carlo Lodovico. Conseguentemente Modena e Parma votarono per l’annessione al Regno Sabaudo sardo–piemontese, mentre Leopoldo II poteva tranquillamente accingersi a riannettere al Granducato di Toscana i comuni della Lunigiana da poco ceduti, ma ad annettere ex–novo anche l’Alta Garfagnana estense e l’ex ducato di Massa e Carrara, le cui popolazioni avevano ora chiesto di essere toscane.
Leopoldo II, inizialmente accettò quei territori solo “in custodia”, ma poi, vi inviò reggimenti toscani di linea con la scusa che in caso di vacatio legis lì potessero nascere “anarchici” focolai repubblicani e così, di fatto li incorporò nel Granducato estendendovi ordinamenti e leggi, costituzionali, toscane.
Il 21 marzo 1848 il Granduca suscitava l’entusiasmo popolare decidendo di inviare le truppe regolari toscane, affiancate da volontari ed agli universitari (vedi Da Curtatone e Montanara a Terezin), a combattere in alta Italia a fianco dei Sardo–Piemontesi di Carlo Alberto contro gli Austriaci. Mentre le truppe granducali da Pietrasanta e da San Marcello Pistoiese si dirigevano al Nord, Leopoldo II sostituiva la bandiera lorenese con il tricolore italiano con sovrapposto lo stemma granducale e personalmente aderiva al prestito di guerra piemontese.
L’atteggiamento “italiano” del Granduca mutò dalla metà dell’anno, quando emersero gli atteggiamenti espansionistici del Regno di Sardegna e nell’agosto, quando in seguito a dei violentissimi tumulti avvenuti a Livorno, Leopoldo II fu costretto a licenziare il governo moderato di Gino Capponi per affidare l’incarico di governo agli “ultrademocratici” Francesco Domenico Guerrazzi e Giuseppe Montanelli.
Il 30 gennaio 1849, l’impaurito Leopoldo II abbandonava Firenze per rifugiarsi prima a Siena e poi, giunto a Porto Santo Stefano, al confine Sud del Granducato, dopo qualche giorno vissuto nel dubbio, rifiutava l’appoggio piemontese e riparava, su consiglio dei “parenti” d’Austria, a Gaeta affidandosi alla protezione di Ferdinando II delle Due Sicilie.
Ma ad aprile, dopo la disfatta di Carlo Alberto a Novara, i moderati toscani per evitare un’invasione austriaca, rovesciarono il governo Guerrazzi e richiamarono Leopoldo II, sperando e credendo che il sovrano non avrebbe rinnegato le sue riforme.
La speranza fu vana ed il ferocemente reazionario Francesco V, Duca di Modena, si prese una sua particolare rivincita nei confronti di Leopoldo II: l’austriaco tenente–feldmaresciallo Barone Konstantin d’Aspre scese da Parma con 18.000 uomini, e l’11 maggio 1849, dopo un giorno di assedio e feroci bombardamenti, prese e saccheggiò e fece stragi nella fiera e ribelle Livorno e poi da lì marciò a est (il poeta Giuseppe Giusti a Pescia vide sfilare i soldati asburgici rimanendo nel frangente impressionato dalla loro teutonica correttezza e disciplina…forse ancora non sapeva dalla strage di Livorno…) per occupare l’ormai “prona” Firenze, riportando tutto il Granducato alla “normalità” imperiale.
Leopoldo II tornò in Toscana dall’esilio solo nel luglio 1849, sbarcando a Viareggio scortato da truppe asburgiche ed indossando la divisa di generale austriaco, e tutto ciò segnò la fine della simpatia che i toscani avevano avuto per il mite e, fino ad un certo punto, considerate le sue “parentele”, già “volonteroso”, loro sovrano.
Seguiranno circa quattro anni di pesante occupazione austriaca e poi, stancamente, quasi sei anni di non feroce, ma occhiuta “normalizzazione” asburgico–lorenese, ben descritti anche nelle memorie di Ferdinando Martini; successivamente, nel 1859, le note conseguenze della II Guerra d’Indipendenza, determineranno definitivamente l’assetto dei territori oggetto di questa nostra nota, in senso… “nazionale” italiano.
Carlo Onofrio Gori