Storia di Pulvio Gargini detto “Ciccio”
Classe operaia e Resistenza sulla Montagna pistoiese
Un dattiloscritto intitolato Memorie di un antifascista 1920–1945, recentemente consegnato alla Biblioteca comunale Forteguerriana di Pistoia dal figlio Masaniello [successivamente, dal 2010, pubblicato in un libro dal titolo Rallentare], ci racconta la ricca ed appassionante esperienza umana di Pulvio Gargini, operaio della SMI di Campotizzoro e comunista. Diciamo subito che Gargini non fu uno dei più noti comandanti della Resistenza, né un capopartito, ma fu una di quelle figure fondamentali che troviamo nella storia del movimento operaio italiano, cioè uno di quei dirigenti espressi dalla base e che con la base vollero sempre rimanere a contatto, divenendo così punti di riferimento per tutta una comunità, in questo caso la Montagna pistoiese: uomini senza la cui disinteressata ed appassionata dedizione, la lotta antifascista per la democrazia e per la ricostruzione del Paese non avrebbero avuto successo. «Uno degli ultimi pezzi di un mondo finito da tempo», come poi ricordò ai suoi funerali l’altro figlio Sergio. Il dattiloscritto si legge d’un fiato, tanto sono avvincenti le vicende del periodo, e netta la convinzione che meriti, seppur sinteticamente, ripercorrere la fasi di questa significativa esperienza di vita.
Figlio di un ferroviere socialista, Pulvio è testimone a Livorno della impari resistenza operaia nei confronti di un movimento fascista potentemente sostenuto da settori del mondo economico e dell’apparato statale. Torna con la famiglia a Pistoia, originaria della frazione di Bonelle, ed al licenziamento politico del padre, è costretto, ancora molto giovane, a cercarsi un lavoro in una delle tante piccole officine meccaniche di Porta Lucchese che allora circondavano la S. Giorgio (oggi Breda).
Sono anni della crisi economica mondiale seguita al crollo di Wall Street ed anche il lavoro nella piccola officina pistoiese diventa saltuario: per avere un po’ più di sicurezza basterebbe piegarsi ad accettare la tessera del fascio, ma Gargini non ne vuole sapere. Abile operaio meccanico specializzato, Pulvio supera poi la prova per essere assunto in una importante fabbrica, la Società Metallurgica Italiana di Campotizzoro, proprietà della famiglia Orlando, nel comune di San Marcello Pistoiese; ma la chiamata al lavoro per lui non arriva… manca la tessera! Gargini riesce abilmente ad aggirare l’ostacolo ed a farsi assumere senza accettare la iscriversi al partito perché è noto come ottimo giocatore di calcio: una pedina insostituibile della squadra aziendale a cui il fascio di fabbrica tiene in modo particolare. D’ora in poi la storia personale di Pulvio, conosciuto in tutta la montagna con il soprannome di “Ciccio”, sarà sempre strettamente intrecciata a quella di questo stabilimento che diverrà poi strategico nello sforzo bellico italiano.
Siamo ora negli anni Trenta: il controllo del Regime è occhiuto e totalizzante, ma sullo sfondo della guerra d’Etiopia e della Guerra di Spagna, sia in fabbrica, sia durante gite domenicali in montagna, apparentemente spensierate, iniziano i primi prudenti contatti politici di Pulvio e dei suoi amici con l’opposizione clandestina rappresentata soprattutto dai comunisti. Nello stabilimento, animata da “Ciccio”, si forma una commissione parallela che spesso riesce a scavalcare il sindacato fascista nelle trattative con la proprietà, circolano anche copie del Manifesto del Partito comunista e compaiono le prime scritte antifasciste.
Inizia la guerra e le maestranze della SMI seguono con stupita apprensione i primi successi del blitzkrieg tedesco, ma poi, preoccupate per l’entrata in guerra dell’Italia, iniziano a riflettere sulle disfatte delle truppe fasciste in Africa ed in Grecia: molti rifiutano l’abbonamento promosso dal fascio di fabbrica al «Ferruccio», organo della federazione pistoiese. «Questo episodio» – nota Pulvio – «ci fa riflettere: quanti operai sono contrari alla politica fascista. Quasi la totalità in officina, crediamo. Si cerca di avvicinare più lavoratori».
L’aggressione nazista all’URSS spinge Pulvio e gli altri oppositori vicini al partito comunista a dar vita ad una vera e propria organizzazione clandestina fra i ben 6000 dipendenti della SMI: si crea così un importante nucleo antifascista che territorialmente darà poi i suoi frutti in molte zone poiché i lavoratori della “Metallurgica” non provenivano solo dalla Montagna pistoiese, ma anche dal Bolognese, dal Lucchese, dalla Valdinievole e dalla piana di Pistoia. Si raccolgono anche sottoscrizioni per creare un fondo cassa in caso di necessità: Pulvio fa da collettore versando poi a Maresca i soldi al segretario del nucleo Carlo Petrolini ed al cassiere Giuseppe Vivarelli (“Peppone”).
L’iniziale disfatta russa semina lo scoramento fra gli operai e mette a terra l’attività del nucleo antifascista, ma alle prime vittorie sovietiche tutto riprende: si allargano i contatti anche con la città e si susseguono le riunioni anche col gruppo comunista libertario di Silvano Fedi e Tiziano Palandri, infaticabili nell’opera di propaganda e proselitismo. I ritmi in fabbrica, totalmente dedita alla produzione bellica, si fanno spossanti mentre l’alimentazione è scarsa e solo pochi possono permettersi di rifornirsi al mercato nero; un giorno su un carrello compare una grande scritta: RALLENTARE.
Il 25 luglio 1943 crolla il fascismo: ora l’attività del nucleo SMI esce dalla clandestinità ed è inizialmente indirizzata a far pressioni presso la Direzione per epurare lo stabilimento dagli elementi fascisti; viene poi indetto uno sciopero per l’uscita dall’Italia dalla guerra, ma le autorità badogliane non tollerano disordini e Gargini insieme ad altri compagni, arrestato e portato a Pistoia, viene poi trasferito nel carcere a Bologna che, ironia della sorte, deve condividere anche con accesi esponenti fascisti.
Arriva l’8 settembre, ma Gargini tarda ad esser liberato e finisce sotto la custodia dei militi della appena costituita RSI: paradossalmente la cosa favorisce Pulvio perché i repubblichini decidono la liberazione di tutti gli arrestati durante il periodo badogliano. Gargini torna in fabbrica e svolge una decisiva attività nel Comitato clandestino di Liberazione della Montagna che assicura un sostegno logistico con informazioni, armi e vettovagliamenti a quei compagni della zona, come “Peppone”, Baldi, Venturi, Filoni ed altri, che combattono nelle file della Brigata garibaldina “Bozzi”. Pulvio nel suo memoriale rammenta innumerevoli episodi, alcuni noti, come l’episodio della sottrazione della Cassa SMI da parte della “Bozzi” al fine di finanziare l’attività della brigata, ed altri meno noti nei quali ha avuto parte rilevante, se non decisiva.
Ma ecco due momenti cruciali della vicenda di Gargini. Correva voce, ed i fatti lo confermeranno, che per accordi sotterranei fra la proprietà Orlando e gli Alleati, quest’ultimi non avrebbero bombardato la “metallurgica” di Campo Tizzoro, ma lo stesso purtroppo non accadrà nella vicina Maresca perché, come racconta Pulvio: «aiutammo (…) due ufficiali inglesi (…) ad attraversare la linea del fronte (…) passarono da Maresca e videro un movimento insolito di truppe germaniche, capirono da molti particolari che qui si trovava il comando del feldmaresciallo Kesserling (…) e dopo pochi giorni arrivò la prima ondata di bombardieri e (…) fu una strage (…) passarono due o tre giorni e riecco spuntare i bombardieri (…) ci furono nuovi morti e feriti». L’impegno nel soccorso della popolazione da parte di Pulvio e del CLN clandestino sarà, da subito, efficace e decisivo.
Finalmente, con l’avanzare del fronte i tedeschi stanno per ritirarsi, ma il momento è estremamente delicato: il proprietario Salvatore Orlando, che fino ad allora è riuscito a salvare il suo stabilimento grazie ai buoni rapporti con l’amministratore tedesco Kaiser ed ai sotterranei contatti con gli Alleati, convoca “Ciccio” ed il CLN di fabbrica, conferma le rassicurazioni avute dagli inglesi, ma è preoccupato per eventuali estreme azioni di sabotaggio da parte dei tedeschi e fa appello agli operai ed ai partigiani perché difendano la fabbrica dicendo loro: «Vi prometto che se anche mi resterà solo una patata la dividerò con voi».
Non ci fu bisogno dell’intervento attivo della Resistenza, racconta Pulvio, perché il compromesso con i guastatori tedeschi fu trovato dalla stessa Direzione che sborsò a quest’ultimi una certa quantità d’oro, ma sarà nel dopoguerra che la memoria del “discorso della patata” suonerà beffarda quando nel 1948 Orlando, dimentico dell’accorato appello del 1945 e della pronta disponibilità operaia, licenzierà in blocco Pulvio Gargini insieme ai membri di sinistra di quel consiglio di fabbrica a cui lo aveva rivolto.
La sorte di Pulvio, come di tanti altri compagni, sarà l’emigrazione in Svizzera. Un destino amaro per un uomo di profonda dirittura morale, che dopo la Liberazione si era subito efficacemente impegnato, come Presidente del CLN di San Marcello, nell’opera di ricostruzione della sua montagna; un uomo alieno da incarichi ben più prestigiosi, pur di rimanere accanto ai suoi compaesani, coerente ed inflessibile contro ingiustizie e favoritismi che a volte erano emersi dalle stesse fila di chi aveva fatto la Resistenza.
Tornato dopo i lunghi anni di emigrazione Pulvio non fu riammesso alla SMI, ma non si scoraggiò, e mostrando le sue grandi doti organizzative, diede vita alla prima cooperativa metalmeccanica della zona. Morirà il 7 agosto 1998 e sarà sepolto a Maresca accompagnato nell’ultimo viaggio da una moltitudine di compaesani commossi nell’estremo saluto all’insostituibile amico e compagno “Ciccio”.
Carlo Onofrio Gori