La “lunga strada” di Bruno Fanciullacci
“Maurizio”, medaglia d’oro della Resistenza
La figura di Bruno Fanciullacci si distingue innanzitutto per la determinazione e la coerenza nell’imboccare fin dalla prima giovinezza la via della lotta antifascista, della liberazione nazionale e del riscatto proletario: una “lunga strada” che per Bruno terminerà in un caldo pomeriggio del 17 luglio 1944.
Nasce nel 1919 a Pieve a Nievole. Il padre Raffaello, fiorentino trasferitosi in Valdinievole dal 1907, di sentimenti anticlericali ed anarco–socialisti, dal 1929/30 diviene inviso ai fascisti locali per alcuni suoi atteggiamenti “non allineati” e boicottato; deve chiudere la sua piccola azienda meccanica artigiana, tornare con la numerosa famiglia a Firenze ed adattarsi a lavori saltuari.
Uscito da una classe operaia schiacciata e mortificata dal regime, Bruno non può andare oltre gli studi elementari. A diciassette anni trova un lavoro stabile come lift in un noto albergo fiorentino e viene ricordato come un giovane magro e silenzioso, parco di gesti, professionalmente impeccabile, dotato di una intelligenza e maturità superiore all’età ed agli studi compiuti che riesce ad infondere in chi lo incontri simpatia istintiva e fiducia.
Entra ben presto in contatto con un gruppo di militanti ed intellettuali antifascisti che fa capo a Piero Calamandrei, distribuisce volantini che attacca persino nei corridoi della questura e, infaticabile, scrive sui muri accuse a Mussolini ed al regime.
Vittima di un agente provocatore, rimane impigliato nel 1938 con un centinaio di altri antifascisti in una vasta retata della polizia e viene poi condannato a sette anni di reclusione. Nel carcere di Castelfranco Emilia entra in contatto con l’organizzazione del PCI e “l’università del partito” trasforma l’adolescente antifascista senza tessera in un cosciente militante comunista. Liberato poco prima della caduta del fascismo e tornato al lavoro, entra in clandestinità subito dopo l’armistizio dell’8 settembre e l’arrivo dei tedeschi.
Opera a Marciola sulle colline vicino a Firenze, poi il suo gruppo si unisce a quello di Faliero Pucci nella zona di Greve in Chianti. È di questo periodo l’attentato allo zelante responsabile repubblichino del distretto militare di Firenze col. Gobbi e l’uccisione di una spia fascista.
Il PCI intanto aveva costituito il comando militare partigiano per la Toscana con a capo Sinigaglia, Pucci, Tagliaferri e dalla fine del settembre 1943 stava organizzando, sull’esperienza della Resistenza francese, i Gruppi di Azione Patriottica.
I GAP, a differenza delle formazioni partigiane dislocate in montagna, operavano clandestinamente nel cuore delle città in piccoli gruppi di 3–4 uomini. Il loro compito era creare il panico colpendo con attentati e sabotaggi i caporioni, le sedi e le attrezzature del nemico nazifascista. Per questo venivano richieste al gappista doti non comuni: coraggio, determinazione, sangue freddo, sacrificio, disciplina, esperienza militare.
Figure di gappisti come quelle, tra gli altri, di Giovanni Pesce o Dante Di Nanni sono divenute leggendarie nella Resistenza italiana. Per questo sarà bene ricordare innanzitutto, a chi ha voluto stabilire un assurdo parallelo (giocando anche sul fatto che alcuni gruppi estremistici hanno poi ripreso la sigla “gap”) fra il gappismo di allora ed i fenomeni anche recenti di lotta armata, condannando il tutto come “terrorismo”, che nel ‘43/’45 era in corso una guerra e c’erano l’occupazione tedesca ed una dittatura da combattere.
Le azioni dei GAP miravano ad acquisire un consenso popolare alla Resistenza, per il gappista catturato la tortura e la morte non erano certo un evento casuale, ma la certezza: si calcola che fra i caduti della Resistenza un gappista su tre abbia fatto questa fine!
A Firenze sotto la guida di Alessandro Sinigaglia i GAP si organizzarono inizialmente in quattro gruppi di quattro uomini ciascuno; Cesare Massai ne era il comandante operativo ed Alvo Fontani commissario politico.
Fanciullacci (“Maurizio”) venne posto al comando del gruppo “B” costituito da alcuni compagni che erano con lui a Marciola: Tebaldo Cambi, Luciano Suisola, ed il giovanissimo Aldo Fagioli che parteciperà poi, come soldato volontario, sulla Linea Gotica, alle vicende del Gruppo di Combattimento (divisione) “Cremona” del ricostituito esercito italiano.
Il periodo che va dal gennaio all’aprile del ‘44 è il periodo eccezionale del gappismo fiorentino, non passa giorno senza qualche difficoltà per i fascisti e Fanciullacci è l’uomo di punta dell’organizzazione.
Innumerevoli sono le azioni alla quale partecipa, ad esempio quella in cui, travestito da ufficiale fascista, si introduce nella sede del PFR in via dei Servi e vi lascia una bomba che esploderà poco dopo, devastandola completamente. Uguale sorte tocca alla sede del sindacato fascista dove si stavano compilando per i tedeschi elenchi di aderenti allo sciopero del 4 marzo, oppure quella della Feldgendarmerie di via del Campuccio.
Tuttavia Fanciullacci viene generalmente ricordato per l’uccisione di Giovanni Gentile, forse l’azione più controversa di tutta la Resistenza, insieme a quella di via Rasella a Roma. Indubbiamente Gentile era figura di primo piano: filosofo eminente, già ministro fascista della pubblica istruzione, aveva aderito con entusiasmo alla repubblica di Salò, tuttavia a volte aveva impegnato il suo prestigio per salvare alcuni resistenti dal plotone d’esecuzione. Non così era accaduto il 23 marzo del 1944 quando alcuni giovani renitenti alla leva furono fucilati a Campo di Marte; anzi Gentile, in un discorso da lui pronunciato in precedenza come presidente dell’Accademia d’Italia e poi comparso su «Civiltà fascista», aveva rivolto un chiaro invito alla rappresaglia indiscriminata non solo nei confronti dei partigiani, ma anche contro “i neutrali e i prudenti”. Alcune interpretazioni, anche recenti, hanno ipotizzato che l’ordine dell’eliminazione di Gentile sia venuto dagli Alleati contro i quali aveva pronunciato infuocati discorsi ai quali Radio Londra aveva risposto definendolo «arlecchino filosofo drappeggiato di croci uncinate» e incitando alla «santa rabbia che animò il popolo italiano nelle sue ore più belle».
Altri, come lo storico Luciano Canfora, affermano che elementi estremisti fascisti sapessero che il filosofo era in pericolo e non facessero niente per proteggerlo.
L’ordine comunque viene dato a Firenze dall’esponente comunista in seno al CTLN, Luigi Gaiani: in esso si dice che la sentenza deve eseguirla Fanciullacci ed un gruppo di fuoco misto costituito da elementi del gruppi “A” e “B”. Secondo quanto scritto da C. Zingoni (La lunga strada, Vita di Bruno Fanciullacci, Firenze, La nuova Italia, 1977) alle ore 13,30 Fanciullacci si trova con un altro compagno davanti all’abitazione fiorentina del filosofo a Villa De Marinis al Salviatino, mentre altri due compagni attendono nei pressi con compiti di copertura. La macchina con Gentile arriva alla villa, un gappista si avvicina e chiede: «È lei Giovanni Gentile?», «Sì» risponde il filosofo: «Questo lo manda la giustizia popolare» e spara.
La macchina corre verso l’ospedale mentre due gappisti si allontanano scendendo per via Lungo l’Affrico e Bruno ed il suo giovanissimo compagno prendono per viale Righi fatti segno ad applausi e a voci di approvazione della gente affacciata alla finestre alla quale Bruno ingiunge di ritirasi dicendo «ma che siamo a teatro?».
Poco tempo dopo, il 26 aprile, la fortuna volge le spalle a Bruno che, nel corso di un’azione condotta da un altro gruppo, viene casualmente catturato a un posto di blocco. Interrogato una prima volta dal famigerato Mario Carità, viene poi seriamente ferito con un pugnale da un altro ufficiale fascista.
Ricoverato nell’ospedale di via Giusti è liberato l’8 maggio con un’audace azione condotta da Chianesi, Martini, Gattai, Suisola, Menicalli e Fagioli. I fascisti da ciò intuiscono l’importanza del personaggio e Bruno viene invitato dall’organizzazione a lasciare Firenze, ma non accetta e resta per un periodo nascosto, con Suisola e Fagioli, in casa di Ottone Rosai, già da tempo in contatto con la Resistenza. Restano a testimonianza di questa amicizia i ritratti del pittore ai tre partigiani.
Proprio in casa di Rosai viene progettata l’ultima azione alla quale Bruno partecipa, la liberazione dal carcere di S.Verdiana della gappista Tosca Bucarelli, avvenuta il 9 luglio.
Ma il cerchio della repressione ormai si stringe sui GAP fiorentini, alcuni sono caduti, i “ricambi” non sono forse stati all’altezza degli “iniziatori”, forse qualcuno sotto tortura ha parlato. Si moltiplicano gli arresti ed anche Bruno, tre settimane prima della liberazione della città, il 15 luglio del 1944, malgrado un travestimento che ne altera la figura, è riconosciuto ed arrestato in Piazza Santa Croce. Viene subito condotto in via Bolognese nella famigerata Villa Triste, centro di torture organizzato dalla polizia politica del magg. Carità che tuttavia in questo periodo si era già trasferito al Nord.
Interrogato dal vice di Carità, Bernasconi, Bruno resiste e portato in cella esorta i compagni a “tener duro”.
Riportato ai piani superiori nel primo pomeriggio vede un finestra aperta e vi si getta compiendo un volo di oltre venti metri dal lato di via Trieste. In fin di vita spira a Villa Triste alle 15,30 del 17 luglio e viene seppellito a Trespiano in una fossa comune.
La sorella Rina e la famiglia sapranno, anche tramite le ricerche di Romano Bilenchi, da tempo impegnato nell’attività clandestina della Resistenza, della morte di Bruno solo il giorno 22.
Nel 1945 la salma venne riesumata e dopo una commossa cerimonia pubblica il partigiano fu sepolto nel cimitero di Soffiano sotto una lapide bianca con la scritta «Bruno Fanciullacci, medaglia d’oro».
Carlo Onofrio Gori
Bibliografia:
C.Zingani, La lunga strada. Vita di Bruno Fanciullacci, Firenze, La Nuova Italia, 1977
A.Fagioli, Partigiano a 15 anni, Firenze, Alfa, 1984
C.Francovich, La Resistenza a Firenze, Firenze, La Nuova Italia, 1961