Vita e morte del Comandante “Pippo”
Manrico Ducceschi, il partigiano “apolitico” che piaceva agli Americani
Per la coscienza di molti giovani l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca, comportando scelte drammatiche, furono come una cartina di tornasole: molti si nascosero o si defilarono; alcuni, per paura, fede o malinteso senso dell’onore, scelsero di aderire alla “repubblichina” fascista; non pochi seppero invece reagire e scegliere con maturità e sicurezza, in modi e tempi diversi, la strada della Resistenza. In alcuni emersero attitudini e qualità che altrimenti sarebbero forse rimaste per sempre sopite: ci sembra questo il percorso del pistoiese Manrico Ducceschi, ricordato solo fino a pochi anni prima negli ambienti dell’élite un po’ conformista e provinciale del cittadino liceo “Forteguerri”, come studente indubbiamente intelligente, ma dispersivo e non certo brillante.
Ducceschi nacque a Capua l’11 settembre 1920, da Fernando, pistoiese, agronomo, e da Matilde Bonaccio, casalinga; avrà poi una sorella, Leila. Compiuti gli studi medi e superiori a Pistoia si iscrisse e frequentò, in questo caso con profitto, la Facoltà di Lettere di Firenze prendendo anche contatto con “Giustizia e Libertà”, ma nemmeno in quell’ambiente sembrò particolarmente distinguersi ed emergere.
L’armistizio trova Ducceschi a Tarquinia, allievo ufficiale del V Rgt. Alpini. Manrico riesce a sottrarsi alla cattura tedesca ed a rientrare a Pistoia, dove abitava in via Bellini 3, dirigendosi subito dopo a Firenze dove riprende i contatti col Partito d’Azione. Inviato sulla Montagna pistoiese con pochi compagni, assume inizialmente il nome di battaglia di “Pontito” e mostra ben presto insospettate doti di organizzatore. Già a metà settembre, costituisce la prima brigata “Rosselli” ed in questo primo periodo, che va dal settembre 1943 al gennaio 1944, gli sforzi sono indirizzati all’organizzazione: prende contatti col CLN di Lucca, recupera armi, costituisce una rete di supporto, inserimento e preparazione di nuovi combattenti e – creando in tutta la zona nuclei di informatori e simpatizzanti sulla base di solide relazioni con parroci, pastori e con qualche comandante di stazione dei carabinieri – assorbe poi alcune formazioni minori del Pesciatino e della Lucchesia con i cui uomini intraprende le prime azioni di sabotaggio: crea insomma quell’atmosfera di entusiasmo e collaborazione che sarà la base essenziale per i successi del 1944 e del 1945.
Assunto il nome di battaglia di “Pippo”, riferendosi ad uno pseudonimo usato da Giuseppe Mazzini (come ci ha recentemente confermato Carlo Gabrielli Rosi, suo seguace di quel tempo), stabilisce poi il quartier generale alle Tre Potenze e organizza i suoi uomini in settori, gruppi e distaccamenti, giungendo via via a coprire un vasto e nevralgico settore nella zona della Linea Gotica: dalla Val di Lima, all’Abetone, da parte dell’Appennino modenese, alla Garfagnana ed alle valli del Pescia e della Nievole; rientra, tra l’altro, nel suo campo d’azione, la Statale 12 dell’Abetone e del Brennero, fondamentale per gli spostamenti delle truppe nazifasciste.
Il 16 marzo 1944 la formazione assumerà “dietro parere concorde di tutti i componenti” la denominazione ufficiale di “Esercito di Liberazione Nazionale–XI Zona Militare Patriotti” prendendo l’impegno, sempre gelosamente difeso dal suo comandante, di darsi «un carattere essenzialmente apolitico e (…) fini esclusivamente militari e patriottici». “Pippo” infatti, pur accogliendo fra le sue file antifascisti di appartenenza o di estrazione politica eterogenea (giellisti, monarchici, anarchici, comunisti, senza partito), vedeva tuttavia nel dibattito politico e nelle divisioni partitiche un serio ostacolo ad un rapida vittoria contro il nazifascismo.
Vale la pena, a questo proposito, citare un brano scritto nel 1957 da Maria Luigia Guaita, inviata nel giugno del 1944 presso di lui dal CTLN per ottenerne una relazione: «Pippo (…) era uno dei comandanti più autorevoli e stimati di tutta la Toscana (…) Già a giugno aveva sotto di sé più di mille uomini, ormai equipaggiati e armati, la formazione più forte di tutto il pistoiese e dintorni (…) Era il migliore dei nostri comandanti. Lo ricordavo appena dieci mesi prima studente di lettere timido, serio, il più giovane fra gli amici (…) ora lo guardavo (…) comandante partigiano. Ancora più magro più calvo, ma abbronzato e sicuro di sé incuteva soggezione e affetto (…) gli dissi quello che volevano conoscere al comando militare (…) Tornò (…) con (…) le indicazioni richieste (…) Allora (…) gli mostrai varie copie dei punti programmatici del Partito d’Azione e altri opuscoli di propaganda. Per i politici era importante quanto il combattere che i partigiani (…) maturassero nelle idee (…) Pippo sorrideva (…). “Non li butterai mica via? (…) Ci costano tanto di ansie e di soldi!”. “E chissà quante discussioni” disse Pippo e rideva, (…) ma mi accorsi che nel fondo era triste e deluso (…) E scoteva la testa».
Questa maturata e crescente attenzione agli aspetti militari dell’azione partigiana, piuttosto che a quelli di scelta e di equilibrio politico, porterà Ducceschi a sottrarsi sempre più all’autorità dei CLN ed a privilegiare rapporti diretti soprattutto con gli Alleati, ma anche, in rari casi, con emissari “badogliani” del governo del Sud: per questo verrà poi da più parti ingiustamente qualificato, lui sostenitore della forma repubblicana, come “monarchico”. Malgrado i dissidi, tutto ciò non impedirà, tuttavia, in alcune occasioni, sia la collaborazione dell’XI Zona con i CLN locali, sia, spesso pur fra divergenti opzioni operative, con altre formazioni politicamente caratterizzate come la pistoiese “Bozzi”, organizzata dal PCI, e le formazioni emiliane comandate da “Armando”.
Compiuta una scelta prettamente “militare”, “Pippo” dimostra appieno le sue capacità: i suoi distaccamenti attaccano i presidi nazifascisti, resistono con efficacia ai rastrellamenti ed ingaggiano vere e proprie battaglie, sovente vittoriose, contro ingenti convogli nemici nelle quali a volte usufruiscono dell’appoggio aereo alleato. “Pippo” è infatti collegato, tramite il pistoiese Giovanni La Loggia, amico di Silvano Fedi ed agente dell’OSS paracadutato ed aggregato al suo gruppo, con l’intelligence americana, impegnata nel pesciatino con le missioni “Berta” e “Carnation”, e grazie a ciò verrà rifornito con aviolanci ed allaccerà poi, “sul campo”, ottimi rapporti con le truppe brasiliane e statunitensi.
Il grande credito riscosso via via da “Pippo” presso gli Alleati è anche conseguenza di una clamorosa azione condotta l’8 giugno 1944 da alcuni suoi uomini nei pressi dell’Abetone in seguito alla quale rimane ucciso l’ammiraglio Mitsunobu, addetto militare giapponese presso la RSI, e vengono rinvenuti e poi consegnati agli americani importantissimi documenti, alcuni dei quali, come ci ha recentemente assicurato Tiziano Palandri, vice–comandante della formazione, risultano tutt’ora secretati.
Dopo la liberazione di Bagni di Lucca (29.9.44), e di Barga (11.10.44), raggiunti dalla V Armata, i partigiani di Ducceschi dall’ottobre 1944 prestano servizio “come truppa di linea inquadrata in forma di reparto regolare ed organico” , poi denominata “Battaglione Autonomo Patrioti Italiani Pippo” e, con divise ed equipaggiamento americano, contribuiscono a “tenere” ben 40 km del fronte, dalla Garfagnana all’Appennino pistoiese opponendosi alle forze tedesche ed ad alcuni contingenti delle divisioni “Italia”, “San Marco” e “Monterosa” della RSI.
In particolare nel momento della forte offensiva scatenata in Garfagnana nei giorni del Natale 1944 (in contemporanea con quella più ampia sviluppata nelle Ardenne) dalle truppe nazifasciste, essi al prezzo di numerosi caduti e dispersi, ressero efficacemente nella zona di Sommocolonia e sulla parte destra del Serchio, e pur dovendo necessariamente ripiegare, diedero tuttavia il tempo necessario alle truppe alleate per potersi riorganizzare e condurre con successo la controffensiva.
La formazione di “Pippo” fu quindi la sola unità partigiana toscana (una delle poche in Italia) mantenuta in linea dagli Alleati “in piena efficienza e con tutti gli uomini accanto alle loro truppe”; inoltre a quanto ci risulta, con la 28° Brigata garibaldina “M. Gordini” di “Bulow” Boldrini e la Brigata “Maiella” di Ettore Troilo, che operarono nella parte adriatica del fronte, essa fu una delle sole tre formazioni partigiane a cui fu concesso, per riconosciuta capacità militare, di avanzare insieme a loro nell’offensiva finale: anche per questo è stata poi giustamente (ma forse meno delle altre due) ricordata come “una delle più importanti (…) che abbiano operato (…) nella Resistenza italiana”.
Gli uomini di “Pippo”, spesso precedendo le truppe alleate, partecipano così alla liberazione di Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza (dove tra l’altro si svolse un aspro combattimento con molti feriti ed un caduto) ed entrano successivamente in Milano: questa nuova prova di valore valse l’ammirazione profonda e la definitiva stima degli Alleati tanto che fu loro ulteriormente accordato «l’onore di tenere le armi e di combattere fino ai territori tedeschi, onore che non avemmo il tempo di godere» – ricordò Lindano Zanchi, nel dopoguerra attivista del PCI pistoiese – «perché quando stavamo per partire la Germania capitolò; cosicché l’onore delle armi ci fu consentito per il rientro alla nostra sede. Infatti, noi rientrammo all’Abetone con tutti gli automezzi (…) e con le armi. Lì all’Abetone le depositammo per consegnarle».
“Pippo”, decorato con la “Bronze Star” americana, nel dopoguerra si trasferisce a Lucca dove risiede in Piazza San Michele. Non è un buon momento per il Comandante: prevalgono ora fra i partiti della Resistenza quelle diatribe politiche che tanto lo avevano disgustato durante la lotta armata e che non aveva mai saputo o voluto comprendere e che ora vede di ostacolo all’urgenza di una patria nuova da ricostruire; subisce anche molti processi per le azioni e le condanne da lui decretate nei confronti di fascisti colpevoli, dai quali peraltro esce sempre assolto come uomo dalle indiscutibili qualità morali.
Fra il ‘47 ed il ‘48, nel clima della guerra fredda, riprendono i contatti fra “Pippo” e gli americani, in quanto il Comandante sembra disponibile a tornare in montagna con un gruppo selezionato di suoi collaboratori, nell’eventualità, allora molto temuta in ambito moderato, di una invasione sovietica del Paese; rifiuta comunque l’ipotesi di qualsiasi possibile contatto con ex–repubblichini.
Nelle prime ore del pomeriggio di giovedì 26 agosto 1948, Ducceschi viene trovato impiccato nella camera della sua abitazione: suicidio, diranno le indagini, ma sulle circostanze della sua morte, che risale a due giorni prima, molti dei suoi collaboratori nutriranno sempre dubbi, avanzando ipotesi di responsabilità e scenari e fra loro molto diversi ed anche contrastanti. Le successive inchieste giudiziarie, più volte riaperte, anche in tempi recenti, pur non fugando i dubbi, hanno tuttavia finora ufficialmente confermato il verdetto iniziale. I funerali del Comandante furono celebrati a Lucca “in forma particolarmente solenne” il 28 agosto ed un picchetto della Divisione “Friuli” gli rese gli onori militari.
Carlo Onofrio Gori