Loris Nannini, il pistoiese che sfidò Kruscev
L’amara odissea dell’aviatore nei gulag sovietici
Il 29 ottobre 1956, in un ricevimento al Kremlino, il premier sovietico Nikita Kruscev, parlando degli italiani da lui conosciuti con la moglie del giornalista Vero Roberti, accennava con rispetto ad un prigioniero incontrato nel 1941 quando era un alto commissario politico (politruk) dell’esercito, un valoroso aviatore di cui purtroppo non ricordava il nome, e concluse affermando che aveva fatto molto onore al suo Paese e che l’avrebbe volentieri rivisto e accolto come gradito ospite. Lì per lì la cosa non ebbe seguito. Anni dopo, il 5 febbraio 1960, in piena “guerra fredda”, l’allora Presidente della Repubblica, il democristiano Giovanni Gronchi, fu uno dei primissimi capi di stato occidentali a recarsi in visita in Urss. Quel memorabile viaggio, preparato e organizzato con cura dal presidente dell’ENI Enrico Mattei, suscitò notevole sconcerto negli ambienti ecclesiastici e nella stessa DC e profonda irritazione negli Stati Uniti, che non tolleravano l’iniziativa autonoma di un alleato europeo.
A Mosca, a margine degli importanti colloqui politico–economici (tra l’altro, pochi anni dopo, la Fiat costruirà una fabbrica a Togliattigrad), anche Gronchi udì il leader sovietico, artefice della “destalinizzazione”, esprimere profonda ammirazione per lo sconosciuto ex–prigioniero italiano al quale sarebbe stata offerta pronta e suntuosa ospitalità. Lo stesso discorso fu ripetuto nell’agosto 1961 al presidente del Consiglio Amintore Fanfani, egli pure in missione a Mosca. In Italia i giornalisti, a questo punto ansiosi di assicurarsi uno scoop, iniziavano frenetiche quanto vane ricerche del misterioso pilota atteso al Kremlino.
La cosa più incredibile è che l’interessato, il pistoiese Loris Nannini, leggendo i giornali aveva capito che si parlava lui, ma non si era voluto assolutamente muovere! Di ciò fu testimone il giornalista Franco Pagliano quando lo scovò finalmente a Milano, dove il pistoiese lavorava come tecnico alla “Montecatini”, e lo sollecitò, inutilmente, ad aderire all’invito del leader sovietico. Il giornalista insistette per sapere almeno qualcosa dell’accaduto e fu così che Nannini raccontò la sua vicenda di prigioniero in Urss, che Pagliano riportò in un capitolo del suo libro In cielo e in terra (Longanesi 1969). Tuttavia quel racconto risultò abbastanza sommario anche perché Nannini, per anni, volle rievocare i particolari della sua spiacevole avventura solo con i vecchi commilitoni ex–prigionieri. Tornato da tempo nella sua Pistoia, soltanto nel marzo 1993, un anno prima sua morte (16 marzo 1994) darà alle stampe il libro Prigioniero in Urss (Nannini editore).
Cosa era dunque accaduto con Kruscev? E perché il pistoiese rifiutò un così autorevole invito? Il 2 settembre 1941 il suo Macchi 200, appartenente alla 371ª squadriglia del 22° Gruppo caccia del CSIR, viene abbattuto a Novomoskovsk, in Ucraina, nel corso di un mitragliamento contro una colonna sovietica. Si getta col paracadute e, leggermente ferito, subito catturato dai soldati, viene sottratto a stento al linciaggio da parte di una folla di civili per l’intervento di un alto ufficiale a cui tutti obbediscono con enorme deferenza.
Subisce immediatamente pesanti interrogatori: preme infatti ai russi sapere l’ubicazione dell’aeroporto da cui era partito poiché non si capacitano di esser stati più volte colpiti di sorpresa in quella zona quando le basi dell’Asse risultavano molto più arretrate. Il tenente resiste con tenacia, infatti il piccolo aeroporto di Krivoj–Rog da cui proveniva, abilmente mimetizzato, era stato allestito dai tedeschi in tutta segretezza: i piloti alloggiavano in case coloniche e gli aerei, ben camuffati, si confondevano nei circostanti ed immensi campi di girasoli. Gli interrogatori, spesso inframmezzati da terrorizzanti finte fucilazioni, sembrano prendere una piega più umana quando l’italiano vede nuovamente comparire davanti a sé l’autorevole personaggio che lo aveva salvato al momento della cattura e che dopo individuerà in Nikita Kruscev, allora primo segretario del Comitato Centrale, membro del Consiglio Militare e del Politburo.
Il politruk, credendo di essersi accattivato Nannini, pacatamente lo invita a dire dov’è il campo di aviazione. Al secco rifiuto del pilota,l’ucraino si fa minaccioso, e ben presto nasce fra i due un vivace diverbio sul modo in cui i sovietici trattano i prigionieri di guerra. Kruscev allora urla sprezzanti ingiurie, ben note all’italiano perché le aveva già ascoltate da prigionieri russi. Nannini, adirato, tramite l’interprete dice allora a Kruscev, che, nel caso in cui le avesse sentite ripetere, avrebbe reagito in modo violento. Il potente politruk, incredulo e divertito, guarda fisso il prigioniero e ripete pari pari le sue offese. Nannini allora si alza e… spinge Kruscev col tavolo contro il muro! Il piantone si lancia sul tenente, ma Kruscev ferma la guardia, fissa a lungo l’aviatore, poi gli stringe la mano complimentandosi con lui del suo coraggio. Raduna gli ufficiali e pronuncia loro un discorso: Nannini arguisce, dagli sguardi di estremo interesse che si appuntano su di lui, che Kruscev sta facendo loro il suo elogio.
Malgrado i complimenti di Kruscev, da allora e per un lungo periodo, l’ufficiale italiano, invece di essere internato in un campo militare, passerà attraverso alcuni tragici itinerari dell’“Arcipelago Gulag” riservati alla dissidenza politica. Trasferito a Mosca viene infatti tradotto nella famigerata Lubianka e qui, e poi alla Butyrskaja, sperimenta per oltre tre mesi i mezzi impiegati dai poliziotti dell’NKVD, antesignana del poi più noto KGB, per annullare la personalità del prigioniero ed estorcere le confessioni: interrogatori continui ed estenuanti, veglie prolungate, scarso cibo, ecc. ecc.
Quali le ragioni di questo trattamento particolarmente duro? Il pistoiese nel suo libro non li chiarisce. Non escludendo una “vendetta” dell’“apparato” per lo “sgarbo” inferto a Kruscev, la cosa può essere forse spiegata, sia col fatto che Nannini fu il primo ufficiale italiano a cadere nelle mani dell’Armata Rossa, sia con la tenace e militarmente ammirevole ostinazione mostrata dall’aviatore nel non rivelare l’ubicazione dell’aeroporto segreto, al quale evidentemente i russi attribuivano notevolissima importanza.
Ma forse c’erano anche altri motivi, come potremo intuire da un altro significativo episodio che il protagonista ci narra. Infatti una sera il pistoiese viene introdotto in una nuova cella e trova accanto a sé, con reciproca piacevole sorpresa, un altro soldato italiano, un contadino settentrionale. Ben presto entrano nella stanza un ufficiale dell’NKVD accompagnato da un civile dal volto “magro e triste”, vestito dimessamente. Quest’ultimo si presenta per il comunista italiano Mario Correnti, rivelando anche gli altri suoi nomi, Ercole Ercoli e Palmiro Togliatti, con i quali pensava di non esser sconosciuto ai due prigionieri, costoro però non ne avevano mai sentito parlare. Togliatti mira in sostanza alla loro adesione al comunismo, ma visto che Nannini si mostra irriducibile, cerca, senza successo, l’assenso del soldato–contadino descrivendo ai suoi occhi l’ufficiale come tipico deprecabile esempio di “nemico di classe” e “fascista”.
Infatti per i suoi carcerieri probabilmente Nannini riassume in sé, fin da subito, queste caratteristiche: è innanzitutto un ufficiale, quindi un istruito e, nell’Italia del periodo, contrassegnata da rigide distinzioni sociali, tale poteva essere solo chi apparteneva alle classi “borghesi” e “reazionarie”, poi è un pilota, e l’aviazione italiana, nella quale si erano distinti vari gerarchi (il trasvolatore Italo Balbo, Ettore Muti, Bruno Mussolini, ecc.), era universalmente nota come l’arma “fascista” per eccellenza; del resto Nannini nel corso di tutta la sua prigionia, pur non mostrando ottusi pregiudizi intellettuali (di buon grado leggerà e commenterà con dei camerati tedeschi l’unica opera fornitagli, il Capitale di K. Marx) non vorrà mai concedere niente alle esigenze della propaganda antifascista.
Nel rapido succedersi di drammatici eventi Nannini racconta poi nel suo bel libro altri episodi della lunga detenzione e ci offre la testimonianza di momenti d’inaudita violenza e di struggente umanità vissuti assieme ai condannati politici nei lunghi trasferimenti su vagoni cellulari e in varie prigioni della regione del Volga: da Engels, a Pensa, a Krasnogorsk. Finalmente, il 15 giugno del 1942, avviene il suo ricongiungimento con i prigionieri di guerra, fra i quali molti italiani, nei campi “74” di Oranki e poi “160” di Suzdal, ma anche qui non mancheranno vivide descrizioni di tragici scenari come le fosse comuni per i numerosi commilitoni morti di tifo petecchiale, freddo e stenti.
Stremato da cinque anni di prigionia, solo il 10 luglio 1946 potrà riabbracciare i genitori nella sua casa di Pistoia: troppe e per lui incancellabili erano state le sofferenze patite per poter accettare, anche quasi vent’anni dopo, l’invito di Kruscev!
Carlo Onofrio Gori