Leda Rafanelli, anarchica pistoiese
…scrittrice, femminista, musulmana sufita, antifascista…
Leda Rafanelli fu una delle figure più importanti del movimento anarchico italiano del primo ventennio del secolo. Scrittrice autodidatta, riuscì a conciliare in una originale sintesi di vita le sue idee politiche ed il suo femminismo con la convinta adesione alla fede musulmana sufita; tuttavia si è scritto di lei soprattutto come “amante” di Benito Mussolini, giovane direttore dell’«Avanti!».
Nasce a Pistoia da genitori livornesi, il 4 luglio del 1880; ancora adolescente mostra già una precoce vena poetica e una notevole sensibilità sociale, tanto che Filippo Turati farà pubblicare su un giornale del partito socialista una sua poesia, Le gomene.
A fine secolo, per difficoltà economiche emigra con la famiglia ad Alessandria d’Egitto dove opera una consistente comunità italiana. Qui Leda ventenne si avvicina ben presto agli ambienti anarchici della Baracca Rossa, frequentati anche da Giuseppe Ungaretti e da Enrico Pea, e collabora a «Il Domani» (Cairo, 1903). Giunge ad Alessandria predisposta anche a lasciarsi sedurre da antichi miti egizi, scriverà infatti: «Fin da bambina ho sempre detto, con ferma convinzione, che ero nata millenaria. Tutti i miei personali ricordi, i sogni, le aspirazioni, i desideri erano basati, sistemati, orientati verso l’antico Egitto, mia patria d’elezione» (Memorie di una chiromante, inedito).
Nel contempo si innamora profondamente del mondo mediorientale, impara l’arabo ed aderisce all’islamismo sufita: «Nessuno, che non sia un bruto, può sfuggire alla malia del deserto, al fascino delle oasi (…) Chi ha vissuto qualche anno fra gli arabi ne sentirà l’influenza per sempre» (L’oasi).
L’Egitto è dunque l’unico punto di partenza delle sue due grandi fedi, anarchismo ed islamismo. Come potranno convivere in lei tendenze di pensiero così diverse? Forse la chiave di interpretazione, considerando la sua complessa personalità, va trovata più negli aggettivi che nei sostantivi.
Il suo anarchismo era individualistico, quello della frangia più intellettuale del movimento anarchico, che spesso si contrapponeva all’ala collettivistico–organizzativa.
Gli individualisti affermavano in sostanza che i soli cambiamenti strutturali non sarebbero bastati per far avanzare l’umanità, se non accompagnati da profondi mutamenti delle idee. Leda mutuerà dal pensiero anarchico–individualista il tema della centralità dell’individuo contro i meccanismi alienanti e il falso umanesimo della società capitalistica, ma, socialista libertaria, prenderà sempre le distanze sia da certe forme di individualismo vicine al terrorismo e sia dalla possibile degenerazione borghese delle teorie di Max Stirner che: «mentre possono avere un gran valore come potenzialità intellettuale e originale di un individuo, adattate alle lotte sociali (…) verrebbero ad essere una nuova tirannia e una nuova imposizione esercitata dall’individuo forte, a danno dell’individuo debole». In quanto al suo islamismo, Leda era sufita.
Il Sufismo – conosciuto oggi nel mondo occidentale soprattutto per le suggestive immagini dei balli di una sua confraternita, i dervisci tourneurs della nota canzone di Franco Battiato – è corrente dell’islamismo sunnita, mistica e tollerante, non priva di suggestioni esoteriche. Considerato che la Rafanelli interpreta la sua fede anche come alternativa al mondo occidentale industrializzato, disumanizzato e schiavo del denaro, il suo anarchismo e il suo islamismo possono anche sembrare l’uno il completamento dell’altro.
Torniamo però ad Alessandria ai primi del secolo: Leda, sempre portata alla ricerca del simbolo e del mistero, vede uno scarabeo di terracotta esposto in mezzo ai libri nella vetrina di un negozio; desidera l’oggetto per la sua forza di suggestione, ed è così che fa momentanea conoscenza del librario, l’anarchico Ugo Polli. Rientrati poi in Italia casualmente si incontrano di nuovo alla Camera del Lavoro di Firenze. Si innamorano, si sposano e ben presto fondano, con l’aiuto di Olimpio Ballerini, figlio della nota anarchica fiorentina Teresa Ballerini, la Casa Editrice Rafanelli–Polli.
Leda, che già al suo rientro aveva pubblicato presso l’editore Nerbini novelle popolari a sfondo sociale o anticlericale quali ad es. La bastarda del principe (1904) o Le memorie di un prete (1906), appreso ora il mestiere di tipografo–compositore può stampare, oltre che per il movimento, anche propri saggi come Valide braccia (contro il sistema carcerario), Contro la scuola, ecc. Qualche tempo dopo entra in contatto col ventenne tipografo anarchico aretino Giuseppe Monanni che a Firenze pubblica, fra il 1907 e il 1908, la rivista individualista d’idee e d’arte «Vir» sulla quale compare tra l’altro anche una poesia del pratese Sem Benelli, poi noto drammaturgo, dal significativo titolo Il rifiuto.
Leda, ventisettenne, si innamora di Monanni, si separa dal marito (col quale rimarrà in buoni rapporti) e ben presto si trasferisce col nuovo compagno a Milano, su invito degli esponenti anarchici Ettore Molinari e Nella Giacomelli, per mandare avanti la nota rivista «La Protesta umana».
La coppia Rafanelli–Monanni pubblica anche riviste in proprio come ad es. «Sciarpa nera» e nel 1910 fonda la Libreria Editrice Sociale che diverrà la più importante impresa editoriale libertaria italiana. Il pittore Carlo Carrà, per breve tempo amante di Leda, ne disegnerà il logo dove si vede un volto demoniaco e sullo sfondo il motto “che solo amore e luce ha per confine”.
Leda in questo periodo pubblica suoi vari romanzi e saggi tra i quali Bozzetti sociali, Seme nuovo, Verso la Siberia. Scene della rivoluzione russa e, insieme a Monanni, da cui nel frattempo ha avuto un figlio, fonda le riviste «La Rivolta» (1910) e «La Libertà» (1913–14).
Su quest’ultima firma, nel marzo 1913, un entusiastico resoconto di una commemorazione della Comune di Parigi tenuta da Benito Mussolini. Il direttore dell’«Avanti!» legge e, lusingato, risponde subito: fra i due nasce una profonda amicizia che durerà fino a quando Leda, pacifista convinta, si scontrerà duramente con Benito divenuto ormai interventista. Leda, al contrario di Mussolini, negherà sempre di esser stata sua amante.
Scriveranno in molti su questa vicenda: ad esempio Arrigo Petacco, in L’archivio segreto di Mussolini, sosterrà la tesi di quest’ultimo, altri invece saranno di diverso parere; ma lo stesso libro di Leda, Una donna e Mussolini, in fondo non farà che alimentare i dubbi. Quel che è certo è che il giovane socialista rivoluzionario, allora diviso fra la Balabanoff e la Sarfatti, si sente intellettualmente stimolato dalla sofisticata Leda, mentre quest’ultima sembra a volte scoraggiare il suo spasimante: «Ti ho già detto siamo due mondi in contrasto (…) è come se tu fossi l’Europa ed io l’Affrica. L’Europa (…) la vuole per opprimerla sfruttarla, adattarla al suo modo di vivere (…) L’Affrica barbara vive la sua vita pura, istintiva».
Un appunto scritto da Leda sulla prima pagina di un proprio opuscolo, Abbasso la guerra! (1915), ritrovato successivamente fra le sue carte, ci rivela quale sarà la sua successiva considerazione per Mussolini: «Opuscolo letto e approvato, in tutto, dal mio amico d’allora BM che divenne poi guerrista e poi fascista, capo del governo per 25 anni e poi ucciso dai gloriosi partigiani».
A proposito della guerra, sebbene anche in campo anarchico si fossero verificate alcune defezioni, l’impegno pacifista di Leda fu costante, mentre nel dopoguerra svolse, tra l’altro, un’attenta analisi critica del mutamento avvenuto nel ruolo sociale e economico delle italiane: «Mentre il capo di casa, l’uomo giovane e forte (…) si faceva ammazzare, la donna, emancipatissima, invadeva le officine, produceva per la guerra. Quale progresso!…».
L’avvento del fascismo e la distruzione della Società Editrice Sociale nel 1923 sancisce il suo definitivo silenzio politico.
Leda pubblica ancora qualche opera narrativa di atmosfera “orientale” (Incantamento (1921), Donne e femmine (1922), L’oasi (1926).
Successivamente vive tra Milano e Genova e, costretta da ristrettezze economiche, fa la chiromante. Non smette però di scrivere e ricostruisce mediante memorie autobiografiche in forma di romanzo (Nada, La signora mia nonna, Le memorie di una chiromante) momenti sovente amari dell’ultima parte della sua vita, come la burrascosa fine della convivenza con Monanni e la morte del loro figlio Aini.
Leda muore a Genova nel 1971. Alcuni suoi scritti saranno raccolti da Aurelio Chessa, che con il suo Archivio Famiglia Berneri, vera memoria storica dell’anarchismo, operò per vari anni a Pistoia e che per motivi di lavoro ebbi il privilegio di conoscere.
L’Archivio, oggi intitolato “Berneri–Chessa” e diretto a Reggio Emilia con diligente passione dalla figlia Fiamma Chessa, ha recentemente acquisito in deposito conservativo la raccolta di tutti i suoi documenti autobiografici e delle opere edite ed inedite che costituiscono attualmente il Fondo Leda Rafanelli.
Carlo Onofrio Gori