Il conte pistoiese che arrestò Mussolini
“Pedro” Pier Luigi Bellini delle Stelle
La foto di una classe, una quinta ginnasio del 1935, che compare sulla copertina di un libro uscito nel 1977, La scuola nel regime fascista: il caso del liceo classico di Pistoia, ritrae alcuni studenti del “Forteguerri” che, non molti anni dopo, posti di fronte alla dura prova dell’armistizio dell’8 settembre 1943, sapranno «reagire e scegliere con sicurezza e maturità»1.
Sono, quest’ultime, le parole di un loro compagno di classe, Natale Rauty, poi noto ingegnere e storico medievalista, che in una sua recensione a quel libro comparsa quell’anno sul «Bullettino storico pistoiese» ricordava i nomi di tre caduti: Mario Caterini, Iacopo Barbi, Silvano Fedi, leggendario capo partigiano pistoiese, ed infine quello di «Pier Luigi Bellini delle Stelle, che al comando di bande partigiane del Comasco arrestò Mussolini a Dongo»2.
Molti anni dopo, nel preparare articoli di storia locale per la rivista «Microstoria», mi ricordai di quel libro e di quella recensione, incuriosito soprattutto dal fatto che Bellini delle Stelle avesse avuto una giovinezza pistoiese e che, a parte le vicende strettamente connesse allo storico episodio dell’arresto di Mussolini, di lui si fosse parlato e si sapesse molto poco, e volli fare alcune ricerche che portarono alla pubblicazione nel 2004 di un articolo su «Microstoria» seguito da un altro del 2006 comparso sulla rivista nazionale dell’Anpi «Patria indipendente»3.
Bellini delle Stelle nasce a Firenze il 14 maggio 1920, nell’elenco ufficiale della nobiltà italiana del 1934 compare insieme al padre Ernesto ed alle sorelle Maria Luisa ed Eleonora.
Nel 1926 il padre, colonnello, trasferisce la famiglia a Pistoia che, come ci rivela la signora Liliana Paccanaro, amica delle sorelle di Pier Luigi, va a risiedere in un palazzo di via Porta San Marco, dove ora al n. 11 ha sede la Chiesa Evangelica.
Alcuni amici pistoiesi del conte Pier Luigi Bellini delle Stelle, ed in particolare Natale Rauty, che in quella foto che rammentavo compare seduto proprio accanto a Bellini, ricordano Piero, come si faceva semplicemente chiamare da tutti, come un ragazzo alla mano che non ostentava la propria appartenenza nobiliare in un tempo in cui era quasi d’obbligo il farlo ed anche in seguito, chi lo conobbe, confermerà i tratti di modestia e riservatezza di questo gentiluomo fiorentino, leale, intelligente e colto, delineando la figura di «un uomo indimenticabile»4.
Nel settembre del 1936 i Bellini tornano a Firenze e vanno ad abitare in via Pacinotti n. 3, zona Ponte al Pino, nei pressi della Stazione di Campo Marte e Pier Luigi termina gli studi laureandosi in giurisprudenza.
Per ricostruire gli eventi successivi che portarono il conte Bellini a combattere nelle “Brigate Garibaldi” che erano organizzate dal PCI, anche se ovviamente non tutti i “garibaldini” erano comunisti5, occorre leggere la prima parte del suo libro, tradotto in varie lingue, ma oggi ormai quasi introvabile, Dongo ultima azione edito da Mondadori nel 1962 (poi ripubblicato nel 1975 col titolo Dongo: la fine di Mussolini) e scritto sulla base dei genuini appunti vergati in quei giorni insieme al suo fedele e noto vice Urbano Lazzaro (“Bill”), recentemente scomparso.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, le notizie dei rastrellamenti e delle fucilazioni compiute dai nazifascisti e la vista dei prigionieri ammassati nei carri bestiame che sostavano alla Stazione di Campo Marte e delle violenze tedesche verso alcune donne che cercavano di portare acqua e cibo ai disgraziati, portano Bellini a maturare la convinzione che «Mussolini e i suoi erano solo degli usurpatori che si reggevano al potere solo in virtù dell’appoggio tedesco e di spietati metodi di repressione (…) il mio sdegno contro gli uni e contro gli altri» – scrive – «aumentava di giorno in giorno (…) Mi convinsi così che mi sarebbe stato impossibile rimanermene con le mani in mano ad attendere la salvezza e la liberazione da altri, che era una questione di dignità umana prendere parte attiva (…) l’acquiescenza specie in simili tragici eventi in cui è in giuoco il destino dell’umanità stessa, diventa complicità»6.
In seguito ad una visita alla sorella Eleonora che insegnava a Gravedona sul lago di Como, e per suo tramite, ha l’occasione di mettersi in contatto con i partigiani locali, i “garibaldini” del “Giancarlo Puecher Passavalli”, uno dei distaccamenti che poi andranno a comporre la 52ª Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Clerici”7.
Può così ai primi di giugno del ‘44 portare col nome di battaglia di “Pedro” il suo «contributo alla lotta di Liberazione, il cui scopo finale» – scrive Bellini – «era quello di riscattare la pesante ipoteca della guerra perduta»8.
Lo attendono, sul monte Berlinghera, situato in una posizione strategica a nord–ovest del lago, lunghi mesi di una dura vita partigiana che egli ci descrive con una vivida e scarna narrazione senza nulla concedere alla fantasia o alla retorica.
Un’esperienza fatta di audaci assalti ai sottostanti presidi nazifascisti, di sabotaggi alle vie ed ai mezzi di comunicazione, di eroismi e di fughe durante gli spietati rastrellamenti, di fame e di notti invernali passate a volte all’addiaccio sui mille metri d’altezza, di aiuti da parte della popolazione, ma anche di spie sempre pronte alla delazione, di coraggiosi compagni caduti e di altri che invece non sopportano più i pesanti sacrifici e “gettano la spugna” rifugiandosi in Svizzera o tornando clandestinamente alle proprie case. Mesi, nei quali emergeranno le sue non comuni doti che lo porteranno prima al comando del distaccamento “Puecher” e successivamente di tutta la 52ª Brigata.
È il 26 aprile 1945 quando Pedro giunge, ad appena 25 anni e quasi per caso, al suo appuntamento con la “grande” storia. Scende infatti con 7 uomini sul lago a Domaso per acquistare del tabacco e lì, dalla radio e dalla popolazione festante, apprende che è in atto l’insurrezione.
Da questo punto in poi le versioni dei fatti – se si eccettuano quelle strettamente connesse alle responsabilità e alla modalità della fucilazione di Mussolini, all’esistenza del carteggio Mussolini–Churchill, ed alla sorte di quest’ultimo e dell’“oro di Dongo”, argomenti di numerosi libri e di discusse trasmissioni televisive – sono ampiamente note. Del resto anche il regista Carlo Lizzani si era occupato nel 1974 della vicenda con il film Mussolini: Ultimo atto dove la figura di Pedro era interpretata dall’attore Lino Capolicchio, e su queste vicende narrate da Bellini e sul suo ruolo, le testimonianze, salvo qualche dettaglio, generalmente concordano, pertanto le riassumeremo.
Pedro, richiamati dalla montagna la ventina di uomini di cui può disporre in quel momento ed armati alcuni popolani disponibili, contando sul fattore sorpresa, con abili manovre tattiche ed intelligenti trattative, costringe alla resa importanti presidi fascisti e tedeschi della zona ed occupa Dongo.
Quando si ha notizia dell’arrivo di un forte contingente tedesco con alla testa una grossa autoblinda della Brigata nera di Lucca, Pedro mobilita gli abitanti della zona fingendo di disporre di numerosi armati, poi va a trattare col comandante tedesco della colonna, rimasta bloccata da sbarramenti stradali.
Prende tempo e con la scusa di andare a ricevere ordini a Chiavenna si trascina dietro il comandante tedesco cap. Fallmeyer che rimane impressionato dal fatto che numerosi suoi camerati si siano già arresi a quello che gli appare come un notevole dispiegamento di forze partigiane.
Alla fine Pedro consente ai tedeschi di proseguire verso Merano, ma solo dopo esser stati perquisiti a Dongo ed aver consegnato i fascisti. Nel frattempo Mussolini trasborda dall’autoblinda nella quale si trovava in un camion tedesco, travestito da soldato della Luftwaffe.
Dopo varie vicissitudini i fascisti, fra i quali numerosi gerarchi, vengono catturati sul posto mentre i tedeschi proseguono per Dongo sottoponendosi alla perquisizione: è in questa circostanza che “Bill” scopre ed arresta Mussolini.
A Dongo vengono trasferiti tutti i prigionieri che Pedro tratta, per riconoscimento unanime, con correttezza ed umanità9.
Preoccupato poi per possibili colpi di mano di gruppi fascisti volti a liberare il duce, idea ed attua, con la collaborazione di Michele Moretti (“Pietro”) e di Luigi Canali (“Neri”), rispettivamente commissario politico e capo di Stato Maggiore della 52a Brigata “Clerici”, il “doppio” trasferimento di Mussolini: il primo, “semisegreto”, a Germasino, il successivo, veramente segreto, in altra località che dopo varie peripezie risulterà essere la cascina De Maria a Bonzanigo. Sarà qui che Pedro per l’ultima volta vedrà Mussolini.
Infatti nella tarda mattinata del 28 aprile giungono a Dongo i partigiani inviati dal comando garibaldino di Milano e la gestione della situazione passa nelle mani di “Valerio”, generalmente individuato in Walter Audisio (secondo altri, frai quali “Bill”, “Valerio” era invece Luigi Longo), e di Aldo Lampredi (“Guido”) che hanno il compito di giustiziare Mussolini ed i suoi.
Pedro non vuole che il duce cada nelle mani degli Alleati, ma non è d’accordo su questa soluzione così affrettata e “rivoluzionaria”, vorrebbe un regolare processo, tuttavia deve ubbidire ai superiori e farsi da parte. Le successive vicende sia di Mussolini e della Petacci, che dei gerarchi concentrati e poi fucilati sul lungolago di Dongo, hanno così il loro tragico e discusso epilogo.
Dal dopoguerra si hanno di Bellini poche notizie: scrive, quasi “a caldo”, un lungo articolo per «L’Unità» sui fatti di Dongo, poi dal 1952, avvocato, risiede a Como e si sposa con Miriana Berio, sorella del poi noto musicista Luciano Berio, conosciuta durante un’intervista. In seguito il capo partigiano cattolico Enrico Mattei, esponente di primo piano del CLN nella Resistenza e poi grande manager pubblico durante la Ricostruzione, lo introdurrà con significativi incarichi nelle aziende di Stato da lui guidate.
Il suo nome torna successivamente alla ribalta nel 1957 durante il “processone” celebrato in Padova per stabilire che fine avesse fatto “l’oro di Dongo” sequestrato ai gerarchi. In esso, da parte delle sinistre, si vide una montatura politico–giudiziaria volta a colpire i partigiani comunisti. Il Presidente della Corte preannuncia la testimonianza di Bellini delle Stelle, attesa con evidente preoccupazione sia dall’accusa che dalla difesa, come la più importante di tutto il processo, indubbiamente perché il conte, pur essendo stato “garibaldino” non è comunista ed anzi si è trovato spesso in disaccordo con i partigiani comunisti.
Nella sua deposizione del 21 maggio Bellini asserisce che i valori esposti nell’inventario sono quelli realmente confiscati ai fascisti, affidati poi a Michele Moretti e da questi infine correttamente affidati al Comando generale partigiano. A questo punto i conti tornano e «L’Unità» apre la cronaca del processo con un titolo a sei colonne: «Con la deposizione del partigiano Pedro crolla la montatura sul tesoro di Dongo».
È nel 1965 che si torna a parlare di Bellini che compare con “Bill” in una trasmissione televisiva per il ventennale della Resistenza: in quel periodo, dopo esser stato addetto stampa dell’IRI, è funzionario della addetto alle pubbliche relazioni della SNAM a Metanopoli nel comune di San Donato Milanese, dove poi morirà il 25 gennaio 1984.
Carlo Onofrio Gori
Note
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N. Rauty, Bibliotheca pistoriensis, in «Bullettino storico pistoiese», n. 1/2, 1977, pp. 192–193. ↩
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Ivi. Di quella classe, faceva parte anche Antonino Caponnetto, a giudizio di N. Rauty il più bravo in profitto, poi noto giudice. Durante la guerra fu in Libia dalla quale venne rimpatriato per grave malattia. Negli anni Ottanta fu in prima fila nell’impegno antimafia a fianco di Falcone e Borsellino. ↩
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Cfr. C.O. Gori, “Pedro”: il conte “garibaldino” che arrestò Mussolini. Tra Pistoia, Firenze e Dongo la vita del leggendario capo partigiano Pier Luigi Bellini delle Stelle, in «Microstoria», n. 37 (2004); C. O. Gori, Pier Luigi Bellini delle Stelle, l’uomo che arrestò Mussolini. Una figura della Resistenza rimasta troppo in ombra, in «Patria indipendente», n. 2 (2006); ↩
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Cfr. M. Fini, Quel 25 aprile di 49 anni fa, in «L’Indipendente», 29 marzo 1994; G. Bardaglio, I personaggi del Corriere: Giuseppe Barbieri. Intervista, in «Corriere di Como», 9 aprile 2000. ↩
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La posizione di “Pedro” nei confronti del partito comunista si può ben riassumere leggendo questo brano di Fenoglio: «(…) mentre mangiavamo ci siamo raccontati come ce la passavamo, io nei badogliani e lui nella Stella Rossa. A un certo punto gli ho domandato se era comunista o se stava per diventarlo e mio cugino Alfredo mi ha risposto testuali parole (…) “Non sono comunista e nemmeno lo diventerò. Ma se qualcuno, fossi anche tu, si azzardasse a ridere della mia stella rossa, io gli mangio il cuore crudo”», Il padrone paga male in B. Fenoglio, Un giorno di fuoco, Milano, Garzanti, 1973, pp. 131–132 ↩
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P.L. Bellini delle Stelle (Pedro)–U. Lazzaro (Bill), Dongo: la fine di Mussolini, Milano, Mondatori, 1975, pp. 14–15. ↩
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Giancarlo Puecher Passavalli era un partigiano cattolico milanese fucilato dai fascisti a Erba il 23 dicembre 1943, Medaglia d’oro al valor militare; Luigi Clerici era un partigiano di Cadorago fucilato dai nazifascisti il 20 agosto 1944. ↩
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Ivi. ↩
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Cfr. G. Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, Milano, FPE, 1966, pp. 1542–1648. ↩