“La Volata”, lo sport fascista che doveva soppiantare il calcio
Ideato dal segretario del PNF Augusto Turati
Un nuovo sport agonistico, tutto italiano, anzi tipicamente “fascista”, ispirato – anche se meno violento – all’harpastum, il gioco di squadra preferito dai legionari romani (e che poi dal ‘400 rinnovò i fasti nel calcio fiorentino detto appunto harpastum florentinum), un nuovo gioco di squadra nato per sostituire, nella popolarità delle masse, sport già affermati, “importati” in Italia da paesi anglosassoni o celtici come, prima di tutto ovviamente, il calcio e poi il Rugby, il Basket, l’Hockey ecc.
Questa l’idea messa in atto nel 1926 dal gerarca Augusto Turati, innanzitutto segretario generale del Partito Nazionale Fascista proprio dal 1926 al 1930, ma anche personaggio e dirigente di primo piano dello sport italiano dato che dopo esser stato in precedenza campione di scherma fu in seguito dirigente federale della FIS, della FIT, successivamente della FIDAL ed infine, dal 1928 al 1930, del CONI, mentre a livello internazionale sarà membro del CIO dal 1930 al 1931.
Figura interessante nel panorama fascista del tempo quella di Turati (Parma, 16 aprile 1888 – Roma, 27 agosto 1955), tutt’altro che meramente esecutiva o decorativa e sulla quale merita soffermarsi un po’ anche per capire che la sua singolare ed audace proposta di un nuovo sport di massa, solo per pochi anni attuata, non veniva certamente da uno sprovveduto.
Ecco appunto qualcosa sulla biografia del personaggio–Turati (ovviamente e per i profani da non confondere con l’omonimo e più noto Filippo Turati fondatore nel 1892 del Partito Socialista italiano). Giovane giornalista a Brescia, poi attivo interventista, prende parte alla Prima guerra mondiale con il grado di capitano e viene decorato. Riprende poi a lavorare come capo redattore per «La Provincia di Brescia», nel 1920 aderisce ai Fasci di Combattimento e, nel 1921, al PNF dove si dedica all’attività sindacale e diviene poi segretario della federazione bresciana. In questa carica Turati si distinse nell’applicazione intransigente dei patti agrari fascisti, sia confrontandosi con le organizzazioni sindacali socialiste, sia con quelle cattoliche e non poche volte persino con i latifondisti. Per questo fu notato da Mussolini che nel 1926 chiamò Turati a Roma per sostituire come segretario nazionale del PNF l’irrequieto ras cremonese Roberto Farinacci, incaricandolo in particolare di combattere il cosiddetto “rassismo” rendendo maggiormente disciplinato il partito ed epurandolo anche degli elementi più estremisti. Turati svolse con appassionata determinazione e rigore questa non semplice opera moderatrice e moralizzatrice nel partito, ma nel far questo giocoforza “toccò” consolidati interessi politici ed economici di gerarchi nazionali e locali del calibro di Farinacci, Balbo, Ciano, De Vecchi, Giunta, Ricci, ecc., facendoseli nemici.
Turati, conseguendo in pochi anni l’obiettivo affidatogli da Mussolini – sostenuto anche dalla creazione di un apparato di polizia a lui fedele ed esaltato dalla sua indubbia abilità oratoria – accrebbe enormemente in questi anni il suo prestigio e il potere di dirigente nazionale di primo piano. Ma fatalmente non tardarono le vendette dei ras “ridimensionati”: nell’ottobre del 1929, Farinacci diede inizio sul suo giornale ad una pesante campagna scandalistica contro Turati, basata su equivoche e devianti – poi apparse false e gratuite – confidenze fattegli da una maîtresse da lui “pilotata”. Per questo nei primi mesi del 1930 Turati inviò le proprie dimissioni da segretario del PNF a Mussolini, che subito le respinse. Ma la campagna scandalistica farinacciana proseguì liberamente e senza censure per un anno intero, e quindi Turati, vista l’aria che tirava, rassegnò nuovamente le dimissioni, che questa volta il Duce accolse nominando al suo posto Giovan Battista Giuriati che però proseguì nell’opera moralizzatrice ed epuratrice del predecessore. Augusto Turati tornò allora al giornalismo, prima come inviato del «Corriere della Sera», e poi con la prestigiosa nomina a direttore de «La Stampa».
Malgrado ciò, l’abbandono del potere lo espose maggiormente alle vendette degli avversari che non si quietarono e nelle quali ora si distinse soprattutto uno dei quattro vice segretari del PNF, Achille Starace, che spesso Turati aveva criticato per la sua tronfia retorica e ottusa incapacità politica.
Starace divenne il suo implacabile persecutore soprattutto dal dicembre 1931 quando, sostituendo Giuriati, divenne segretario del PNF e Turati fu destituito dalla direzione de «La Stampa», nonostante la strenua difesa in suo favore esercitata presso il duce da Giovanni Agnelli e Aldo Borelli, anzi la parabola della sua discesa non si fermò: fu poi arrestato e rinchiuso in un manicomio di Roma per poi essere trasferito in una casa di cura nei pressi di Parma, venne quindi radiato definitivamente dal partito, e nel 1933 confinato a Rodi. Successivamente Turati, dopo un breve soggiorno in Etiopia, riuscì a tornare in Italia, ma soltanto nel 1938. Aveva ormai abbandonata l’attività politica, giornalistica e sportiva, e si era esclusivamente occupato della professione di consulente legale. Uscì brevemente dall’anonimato dichiarandosi contrario all’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, e sulla fine del 1943, al costituirsi della Repubblica Sociale Italiana: rifiutò di aderirvi ed anzi ebbe il coraggio, tra l’altro, di rifiutare l’incarico di segretario del nuovo PFR propostogli dai tedeschi.
Nel dopoguerra venne processato per il suo passato di gerarca e condannato, ma venne amnistiato nel 1946, e morì a Roma nel 1955.
Ma torniamo alla “Volata” soffermandoci un attimo sul regolamento stilato dallo stesso Augusto Turati. Il rettangolo di gioco prevedeva una lunghezza di 90 metri e una larghezza di 60 metri – praticamente la misura di un odierno campo di calcio non abilitato per incontri internazionali – e lo scopo del gioco era far oltrepassare alla palla, utilizzando qualunque parte del corpo, le porte avversarie poste sulle linee di fondo, il cui specchio rettangolare misurava 5 metri di larghezza e 2,44 metri d’altezza. Il pallone era sferico e di cuoio, come nel calcio, con un peso di 400 grammi e con una circonferenza compresa tra 68 e 71 cm. La partita durava un’ora, divisa in 3 tempi di 20 minuti e le pause tra i tempi duravano dai 5 ai 10 minuti.
Si cominciava con il pallone al centro del campo e i giocatori nella prima azione di gioco non potevano calciare il pallone. Ogni squadra era composta da otto giocatori suddivisi nei ruoli di: 1 portiere, 2 terzini, 3 mediani e 2 punte. I tre difensori, nei ruoli di portiere e terzini, non dovevano partecipare alle azioni di attacco quindi non potevano superare la linea di metà campo. Al portiere non era permesso trattenere il pallone oltre 3 secondi e nessun attaccante poteva – come nella pallamano – entrare nell’area di rigore delimitata da una linea ellittica distante 8 metri dal centro della porta nel suo raggio minore. Il portatore di pallone poteva esser placcato con ambedue le braccia solo tra cintola e spalle quindi, una volta placcato, doveva cedere subito il pallone, inoltre non poteva correre trattenendolo oltre 10 metri.
Ebbe successo in quegli anni la Volata? Inizialmente diciamo abbastanza, anche se fu un successo parecchio “pilotato” dall’alto, infatti nell’anno di nascita, il 1926, vennero organizzate più di 100 società di Volata che da quell’anno in poi organizzarono gare regolari, ed in qualche filmato coevo prodotto dall’Istituto Luce si vedono gli stadi abbastanza pieni, ma i giocatori erano soprattutto militari o dipendenti di ministeri o iscritti al dopolavoro mentre il pubblico era soprattutto precettato – continuando gli sportivi a preferire il calcio – dall’associazione dopolavorista di regime (OND) o costituto da colleghi, commilitoni o parenti dei giocatori in campo.
Nel 1929 si disputò tra l’altro la Coppa “Arnaldo Mussolini” mentre solo nel 1930 si disputò il primo campionato nazionale e l’unico titolo assegnato di campione italiano fu vinto dalla squadra Dopolavoro Richard Ginori di Milano. Nel 1933 – l’anno in cui il già defenestrato Arturo Turati fu confinato a Rodi – i dirigenti fascisti, constatata la scarsa spontanea partecipazione popolare alle partite della Volata, decisero di abbandonare il programma turatiano di sviluppo di questo nuovo sport.
Il cuore delle masse sportive italiane batteva sempre e soprattutto per il calcio (seguito a ruota da sport individuali, soprattutto il ciclismo e poi il pugilato), il tanto vituperato football inventato dai britannici, che in quegli anni, altezzosamente convinti della propria superiorità, praticamente rifiutavano di uscire dall’Isola per abbassarsi a partecipare ed a misurarsi in tornei internazionali come ad esempio il Mondiale, che venne disputato a partire dal 1930. Tra l’altro son proprio questi gli anni in cui la nazionale italiana di calcio sotto la guida di Vittorio Pozzo comincia ad inanellare una serie di clamorosi successi a livello europeo e mondiale vincendo nel 1930 la prima edizione della Coppa Internazionale (antesignana dell’attuale Campionato europeo, vedi http://goriblogstoria360.blogspot.it/2013/01/co-gori-storia-dello-sport-calcio-1-i.html), organizzando e vincendo i mondiali di Roma del 1934, confermando nel 1935 la vittoria nella Coppa Internazionale, vincendo il torneo delle Olimpiadi di Berlino del 1936 e confermandosi campione del mondo a Parigi nel 1938, mentre a livello di club il Bologna del gerarca Arpinati vinceva le edizioni del 1932 e 1934 della Mitropa Cup (nella sua prima fase antesignana dell’attuale Coppa dei Campioni–Champions League) e trionfava nel prestigioso ed eccezionale (anche per la partecipazione britannica) Torneo Internazionale dell’Expo Universale di Parigi del 1937.
Per Augusto Turati e per la “Volata” non c’era più posto ed il nuovo sport presto scomparve come attività agonistica organizzata, anche se oggi è di tanto in tanto praticato da alcuni giocatori di altri sport soprattutto a scopo di allenamento fisico e in modo puramente ludico.
Carlo Onofrio Gori