António de Oliveira Salazar
Una versione portoghese del fascismo
In Portogallo, nel 1926, il gen. Carmona, a capo di un governo militare, decise di affidare le dissestate e disperate risorse finanziare del Paese ad un ad un giovane ma già prestigioso professore di economia e scienze delle finanze che insegnava fin dal 1918 all’Università di Coimbra: Antonio de Oliveira Salazar.
Proprio in quel 1926, il 28 maggio, 15.000 soldati al comando del generale Gomes da Costa si erano mossi da Braga sulla capitale Lisbona, occupandola.
Il colpo di stato poneva fine alla Primeira República Portuguesa imponendo al Paese una dittatura militare sotto la presidenza (che durerà fino al 1951) del suddetto generale António Óscar Carmona.
Per capire la situazione del Paese occorre ricordare che dal 5 ottobre 1910 era stato deposto il re Manuele II e nei sedici anni intercorsi dall’avvento della Repubblica al colpo di stato del 1926 il Portogallo aveva visto succedersi alla guida del Paese ben nove presidenti e 45 governi fra colpi di stato più o meno sanguinosi e ben due capi di governo assassinati nel 1918 e nel 1921.
Segno evidente di una violenta instabilità politica che aveva visto principalmente contrapporsi i repubblicani liberali e massonici, maggioritari nelle aree urbane, ai monarchici clericali, prevalenti nelle zone del latifondismo rurale.
Il regime parlamentare borghese, egemonizzato dal Partido Republicano Português nel quale era tuttavia presente anche una consistente componente conservatrice, provocò con forti misure anticlericali importanti fratture nella società portoghese, che ebbero ripercussioni soprattutto sulla popolazione rurale. Inoltre riforme promesse e non realizzate suscitarono duri conflitti con un movimento dei lavoratori egemonizzato, come nella vicina Spagna, dalla componente anarco–sindacalista.
I militari, nell’instabilità generale, andarono al potere poiché erano individuati come la forza “sana” del Paese, soprattutto per il prestigio acquisito nella partecipazione vittoriosa a fianco dell’Intesa alla I Guerra Mondiale in Africa e sul Fronte Occidentale. Anch’essi fino al 1926 politicamente divisi al loro interno, avevano in vario modo potentemente influenzato le precedenti vicende governative, ma col colpo di stato del 1928 si propongono, facendo giustizia del regime dei partiti, il raggiungimento della salvezza dell’unità nazionale tramite un riequilibrio fra laicismo repubblicano urbano e cattolicesimo monarchico rurale.
Alla prova dei fatti questo proclamato ruolo di “neutralità” salterà ben presto quando, soprattutto nelle alte gerarchie militari, si affermarono i settori vicini all’opposizione antirepubblicana e quindi alla conservazione, alla Chiesa ed ai latifondisti.
In questo clima, per risanare un’economia dissestata ed in preda ad una forte inflazione, soprattutto per gli effetti della mobilitazione militare nella prima guerra mondiale e per il conseguente crollo del commercio marittimo, i militari offrono il portafoglio delle Finanze ad António de Oliveira Salazar.
Salazar rimane al ministero pochi giorni: molto probabilmente offre le dimissioni perché ritiene di non avere le condizioni politiche per lavorare, ma aggravandosi ulteriormente le condizioni economiche del Paese viene richiamato dal Presidente della Giunta Repubblicana gen. Carmona nell’aprile del 1928, e questa volta, dotato di ampi poteri anche nei confronti degli altri ministeri, vi ritorna definitivamente, e in poco più di un anno, applicando una rigorosa politica di forte contenimento della spesa, riesce a portare il bilancio prima in pareggio e poi miracolosamente in attivo, obiettivo che tutti i suoi predecessori per oltre un secolo avevano fallito. Ovviamente, come quasi sempre storicamente succede in questi casi, la “manovra” di Salazar era stata concepita per ottenere un realizzo delle casse dello Stato aggravando un forte ed iniquo squilibrio sociale, proporzionalmente del tutto a sfavore della grande massa dei ceti popolari, rispetto ai ceti medi, per non parlare dei ceti abbienti.
Sull’onda di questo successo Salazar verrà nominato da Carmona nel 1932 Presidente del Consiglio, carica che manterrà a vita.
Ma chi era e come la pensava il giovane Salazar?
Nato il 28 aprile 1889 a Vimiero (provincia di Beira Alta) da una famiglia di piccoli proprietari agricoli, dopo gli studi nel seminario di Viseu, nel 1914 consegue la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Coimbra specializzandosi poi in economia politica, iniziando nel 1918 la sua brillante carriera accademica, ricca di varie pubblicazioni, nella stessa Università.
Politicamente Salazar era stato fino ad allora un cattolico tradizionalista influenzato dall’idee antiliberali ed antidemocratiche di Maurras: docente universitario, ma anche giornalista di «O Imparcial», aveva partecipato all’attività politica della Democrazia cristiana portoghese e nel 1921 era stato eletto all’Assembla nazionale, ma già dopo la prima seduta, disgustato, dice, dalle mene partitiche e personalistiche che aveva visto in giro, rinunciava al seggio tornando ai suoi studi.
Assunta, dopo la straordinaria performance come ministro dell’economia, la Presidenza del Consiglio, introduce subito nel 1933, grazie al sostegno della Chiesa e degli agrari e col benestare dei militari e di un dubbio plebiscito, una nuova Costituzione repubblicana (malgrado in gioventù egli avesse avuto simpatie monarchiche) profondamente conservatrice e nazionalista che gli dà i pieni poteri ed il controllo totale dello Stato: il corporativo Estado Novo, proposto, nell’ottica del superamento dei conflitti tra le classi sociali, come unica alternativa valida al classismo del socialismo marxista, senza ricadere tuttavia nelle insufficienze del liberalismo e della democrazia borghese. La linea di tendenza in cui Salazar si riconosce è quindi per molti versi la stessa da cui in quegli anni discendono il fascismo italiano, e poi, in parte, il franchismo, il nazismo e altre esperienze di destra.
È una sorta di fascismo portoghese che si ispira, soprattutto nella natura e nei princìpi corporativi, al fascismo mussoliniano, il proto–fascismo al potere, dove col Corporativismo codificato nella Carta del Lavoro del 1927, lavoratori e datori di lavoro dovevano essere associati all’interno di un’ampia gamma di corporazioni, corrispondenti alle varie attività economiche, poste sotto il controllo del governo e dello Stato “regolatore”.
Secondo Benito Mussolini, il corporativismo “è la pietra angolare dello Stato fascista, anzi lo Stato fascista o è corporativo o non è fascista”. Alla prova dei fatti, anche per l’opposizione dei “poteri forti” (monarchia, chiesa, plutocrazia ecc., in parte legati a settori dello stesso partito fascista) il corporativismo otterrà risultati tutto sommato modesti rispetto a quello che si prefiggeva: come tutte le costituzioni corporative varate in quel periodo in vari stati fascisti o parafascisti (ma forse il discorso vale più o meno per quasi tutte le costituzioni tout–court) resterà soprattutto una “carta” d’intenti (tra l’altro via via anche modificata nel tempo), una costruzione teorica di uno stato etico “perfetto” o perfettibile perché di lenta e difficile applicazione in un Paese come l’Italia e poi gli altri (addirittura in Portogallo le prime corporazioni saranno insediate solo nel 1957!), dove sovente il più forte, cioè la compagine padronale, prevarrà nei fatti sul più debole, cioè i lavoratori, riuscendo spesso in tal senso a condizionare più volte le decisioni dello Stato.
Ma vi sono e vi saranno anche differenze fra mussolinismo e salazarismo, che semmai, per molti versi, avrà maggiori assonanze, soprattutto ideologiche, con l’esperienza coeva (1933–34) del cancelliere austriaco del Partito cristiano–sociale Engelbert Dollfuss che, influenzato da Mussolini, diede vita ad una dittatura “austrofascista” di stampo cattolico–autoritario poi cancellata nel 1938, a circa quattro anni dal suo assassinio da parte dei nazisti, dal definitivo Anschluss hitleriano. Di questo, in questo blog, abbiamo già scritto.
Il modello ufficialmente dichiarato dal corporativismo salazarista è la dottrina sociale della Chiesa cattolica; del resto nel 1891 il corporativismo era stato richiamato, in ottica cattolica, dall’enciclica Rerum Novarum. In tal senso l’Estado Novo, pur nella separazione dei compiti Stato–Chiesa, si occupò di educare la popolazione ai valori della Chiesa cattolica e della Nazione portoghese, con i suoi valori rurali e con la sua missione civilizzatrice dei suoi secoli di gloriosa storia coloniale delle terre d’Ultramar. Il motto del regime in cui veniva riassunta la struttura verticale della società secondo l’Estado Novo sarà quindi: “Deus, Pátria e Família”.
Altra differenza col fascismo italiano ed altri fascismi europei, sará innanzitutto l’assenza di un partito preesistente alla presa del potere: è vero che il supporto politico del salazarismo è il suo partito unico, l’União Nacional che raggruppava settori di destra, cattolici conservatori e reazionari, monarchici, corporativisti, fascisti e nazionalisti, creato nel 1933; ma l’União, rispetto al PNF italiano e al partito nazionalsocialista tedesco, non è un “partito forte”, è più una sovrastruttura creata “a freddo” nell’ambito di un regime militare preesistente, per dare uno strumento organico al regime piuttosto che un movimento da tempo radicato in alcune realtà del Paese.
Anche nei confronti della vicina Spagna franchista, ci saranno in tal senso solo parziali analogie sulle quali, visto che siamo in ambito Iberico, merita soffermarsi un attimo: preesisteva all’avvento del generale Franco la Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista fondata da José Antonio Primo de Rivera nel 1933, con caratteristiche repubblicane, avanguardiste e modernista, simili allo spirito originale di una parte del primo fascismo italiano; solo durante la guerra civile il Caudillo, come Salazar più conservatore che fascista “puro”, dopo averla “purificata” dagli esponenti “sociali”, in primis dal segretario Manuel Hedilla, la unificherà con altri movimenti di destra, soprattutto i carlisti, monarchici e cattolici, dando vita al nuovo partito unico, la Falange Española Tradicionalista y de las Juntas de Ofensiva Nacional–Sindicalista.
Più che l’União Nacional avranno poi peso nell’esperienza salazarista altri strumenti di organizzazione e controllo delle masse come ad esempio la Legião Portuguesa, una milizia volontaria per la lotta contro il comunismo, simile per alcuni aspetti alle Camicie Nere italiane della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale (MVSN), oppure la Mocidade Portuguesa organizzazione che si occupava di inquadrare gli adolescenti, affine all’Opera Nazionale Balilla del fascismo, o all’Hitlerjugend tedesca, pur con accenti più orientati in senso cattolico. Il supporto repressivo salazarista sarà la famigerata PIDE (Polícia Internacional e de Defesa do Estado) polizia politica segreta creata anch’essa nel 1933 e che aveva ben poco da invidiare all’OVRA fascista ed anche alla Gestapo del Terzo Reich.
Altra notevole differenza del salazarismo rispetto ad alcuni fascismi europei sarà l’assenza della figura del “capo” carismatico in diretto e costante rapporto con le masse, come ad esempio erano il Duce, il Führer ed in parte lo stesso Caudillo: Salazar, sentendosi investito della fiducia della nazione, avrà sempre un rapporto sporadico con le masse preferendo condurre una vita appartata di “professore” scapolo, austero e puritano.
Qui, sostanzialmente, la fine delle analogie del salazarismo con regimi o partiti autoritari di destra preesistenti, ma occorre precisare che Salazar avrà, forse anche per affinità linguistico–culturale lusitana, un seguace in Getúlio Vargas, il Presidente brasiliano che nel 1937 si fece dittatore istituendo anch’esso l’Estado Nôvo autoritario, conservatore e corporativo, con caratteristiche solo in parte (Vargas ad es. combatterà i comunisti, ma anche i filo–nazifascisti dell’Ação Integralista Brasileira, svilupperà l’industria e promuoverà ampie riforme sociali, ecc.) simili all’esperienze portoghese e italiana.
Salazar durante la Guerra civile spagnola (1936–1939), assunto anche il portafoglio degli esteri, che manterrà durante il corso di tutta la seconda guerra mondiale, si dichiara ufficialmente neutrale, ma in realtà, promuovendo l’invio di un certo numero di volontari, i cosiddetti “Viriatos”, a sostegno di Franco contro i Repubblicani spagnoli, e permettendo il passaggio di ingente materiale bellico attraverso il territorio portoghese, dimostra di appoggiare attivamente le forze nazionaliste; ed in questo, in definitiva, converge con l’azione diplomatica del tradizionale alleato britannico, molto più criptica ma nei fatti costante, forte e consistente, del governo conservatore inglese a favore di Franco. Anche per questo gli ipocriti conservatori inglesi si asterranno sempre dal definire “fascista” Salazar preferendo, per l’appunto, definirlo…“conservatore”.
Nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale Salazar firma un patto di non aggressione con Franco, rafforzando i legami con la Spagna anche al fine di impedire una paventata entrata in guerra dei franchisti spagnoli a fianco dell’Asse che, dal suo punto vista saggiamente pensava, avrebbe finito per sconvolgere gli assetti politici di destra della Penisola Iberica.
Salazar, pur simpatizzando ideologicamente con le potenze dell’Asse, rifiuta di aderire al Patto anti–Comintern e dichiara ufficialmente la sua neutralità che comunque non impedirà ai portoghesi di commerciare, tramite la Svizzera, con il nazifascismo italo–tedesco.
Nel contempo, e sul versante opposto, Salazar rinsalda anche i tradizionali legami con governo conservatore inglese e rende illegale sul territorio portoghese la propaganda e l’azione dei governi fascista e nazista e dei loro più accesi simpatizzanti locali.
In sostanza il “professore”, con la sua neutralità, guarda oltre il conflitto, curando soprattutto l’“Impero coloniale” ed i rapporti col Brasile del “fascio–populista” Vargas (che finirà a combattere con la FEB a fianco degli Alleati), e mantenendo relazioni commerciali con entrambi i contendenti: esporta, ad es., zucchero, tabacco e tungsteno, a pieno beneficio dell’industria portoghese, mai stata così in attivo come negli anni della guerra.
Con l’evolversi delle vicende belliche a favore degli Alleati, Salazar consente nel 1943 agli anglo–statunitensi di installare basi militari nelle isole Azzorre per sorvegliare l’Atlantico, ma quando nel 1945 viene annunciata la morte di Hitler, non ce la fa a trattenere i suoi reconditi sentimenti politici, e fa esporre le bandiere a mezz’asta e dichiara tre giorni di lutto nazionale.
Dopo il 1945, il Portogallo salazarista pratica in generale una politica isolazionista all’insegna dello slogan “fieramente soli”, col risultato di lunga stagnazione economica e culturale nel paese, ma nel 1949 Salazar, malgrado non abbandoni la tendenza isolazionista, cerca in qualche modo di far rientrare il Paese nel gioco politico internazionale e forte delle credenziali del suo indubbio anticomunismo e con il “pass” della tradizionale alleata Gran Bretagna, fa aderire il Portogallo alla NATO.
Convinto colonialista, Salazar continua a considerare territorio portoghese anche i territori d’oltremare come la Guinea Bissau, il Mozambico, l’Angola, ecc., nel 1951 ribattezzati “province”, e gran parte delle energie dello Stato saranno via via sempre più utilizzate per combattere le richieste di indipendenza delle colonie in un periodo in cui i grandi imperi coloniali europei erano in via di disgregazione.
Salazar nel 1968 viene colpito da un infarto e deve abbandonare il potere.
Muore nel 1970: gli succede il “delfino” Marcelo Caetano, che rimarrà al potere fino alla Rivoluzione dei Garofani, conclusasi il 25 aprile 1974 con il ritorno della democrazia in Portogallo e l’avvio del ritardato processo di decolonizzazione africana.
Carlo Onofrio Gori