Cronaca dell’occupazione tedesca di Pistoia
8 settembre 1943
Dopo il 25 luglio 1943, giorno della caduta del fascismo, anche a Pistoia i reparti tedeschi, da tempo presenti alle Casermette ed al Campo di Volo, sono in allerta per far fronte alla sempre più probabile defezione dell’alleato italiano, annunciata ufficialmente e avvenuta poi nella tarda serata di mercoledì 8 settembre.
L’ufficiale Marcello Venturi, rimasto alle Casermette “per la liquidazione di tutti gli affari del Rgt. Nembo”, ormai in massima parte dislocato in Sardegna, annota nel suo diario: «Le unità tedesche non preannunciano più i loro movimenti»1.
Nei primi giorni di quel settembre 1943 c’è dunque un insolito via vai di militari tedeschi in questi dintorni della città, zone oggi urbanizzate, ma che allora erano “campagna”, rivelato anche da un curioso episodio avvenuto sulla “camionabile” del viale Adua, dove, come riporta una cronaca de «La Nazione», «(…) un camioncino guidato da Gino Capecchi e con a bordo i macellai Giuseppe Mannori e Francesco Civinini (…) si scontrava con l’auto tedesca WH 863332 guidata dall’ufficiale Muller che procedeva sulla sua destra e a normale velocità. Pare che il Capecchi non abbia atteso di dare la precedenza alla suddetta macchina». Il cronista dopo essersi minuziosamente soffermato sull’entità dei danni e sulle ferite riportate dai malcapitati protagonisti della vicenda così conclude: «I carabinieri hanno rimesso ora un rapporto all’autorità giudiziaria»2.
L’articolo potrebbe sembrare la banale cronaca di un incidente stradale se non fosse apparso sul numero di venerdì 10 settembre 1943, cioè già due giorni dopo l’annuncio dell’Armistizio fatto alla radio italiana alle 19.45 di mercoledì 8 settembre dal capo del governo maresciallo Pietro Badoglio. Non sappiamo dove nei giorni precedenti si recasse l’ufficiale Müller della Wehrmacht, ma è probabile che non fosse… in gita di piacere! Erano giorni drammatici, ma sugli smilzi quotidiani locali (di solito un solo foglio) a fianco di formali bollettini di guerra, compaiono molti articoli del tipo: “Impiegato percosso da un colono”, “Investito da una bicicletta”, “Ubriaco in contravvenzione” ecc,. che danno la sensazione di una fuga nella minuta normalità; ad esempio un grave episodio avvenuto il 9 settembre a Firenze, l’uccisione di un antifascista durante un volantinaggio antitedesco da parte di un ufficiale italiano, viene semplicemente titolato Doloroso incidente in Piazza Vittorio Emanuele3.
Segno evidente dell’incertezza dei tempi e dei timori del cronista e, probabilmente, del vigilare di una censura, “ex–fascista” e ora “badogliana”, ancora attiva. Dai pochi numeri de «La Nazione» di quei giorni presenti nella Biblioteca Forteguerriana, possiamo capire la reazione popolare all’annuncio dell’Armistizio dalla cronaca della festa patronale di San Marcello dove, «quando giunse per radio il Proclama Badoglio (…) la folla comprese la gravità dell’annuncio, ma si raccolse nuovamente in chiesa (…) per ringraziare della cessazione delle ostilità»4.
Mesi dopo il foglio «Tempo nostro», ricorda con sdegno “repubblichino” che quel fatidico giorno «il popolo tripudiava e le colline apparivano cosparse di gioiosi falò»5.
Anche il noto pedagogista e scrittore Mario Lodi, a quel tempo militare a Pistoia, vede : «(…) centinaia di falò festosi. Per tutti la guerra pare davvero finita»6.
Tuttavia che la guerra non fosse affatto conclusa lo capirono subito gli elementi più politicizzati, sia antifascisti7 che fascisti8, che da quella sera si attivano per affrontare la nuova situazione. Sono giorni di grande tensione e confusione, spesso le testimonianze che nel tempo si sono susseguite tendono a fondere e confondere date e fatti. Quel che appare sicuro è che nella serata di giovedì 9, mentre tra i soldati italiani «non c’è (…) un ufficiale che prenda l’iniziativa»9, «i reparti motorizzati tedeschi presenti a Pistoia trasferivano i propri automezzi da un punto all’altro della città. Ci fu (…) un insolito movimento e la città assisté non senza trepidazione»10.
Questa eloquente sfilata nel centro cittadino probabilmente induce, ricorda il militare Cino Frosini, le ex–camice nere (militarizzate da Badoglio dopo il 25 luglio) della 369ª Coorte a farsi incontro ai camerati tedeschi « (…) facendo saluti romani, facendo vedere che dietro le stellette dell’esercito italiano avevano ancora il fascio (…) della milizia»11, ma i reparti tedeschi non si fermano, forse ancora incerti sulle intenzioni delle non poche truppe italiane ancora armate rimaste in zona12. La cosa è confermata da Venturi che annota: «9 settembre, i tedeschi trasportano tutto il loro materiale al campo di volo e lo caricano sugli aerei. Resta nella casermetta n. 1 il solo personale addetto alla stazione radio…»13.
Altri abitanti nella zona del Campo di Volo notano in particolare quel giorno anche l’arrivo di un quadrimotore militare da trasporto tedesco da loro definito “enorme”, capace di caricare mezzi da trasporto, probabilmente un Arado 232 B detto “millepiedi”,oppure uno Junkers Ju 290 B.
È bene ricordare, per avere l’idea di quel che stava accadendo in città, anche alcuni degli avvenimenti di quel giovedì 9 settembre in Italia: mentre era in piena attuazione da parte tedesca il “Piano Alarico” che prevedeva l’occupazione immediata di tutto il territorio italiano possibile e il disarmo di tutte le unità regie, alle 3.30 il gen. Mark Clark aveva dato il via allo sbarco delle truppe alleate sulla costa di Salerno (operazione Avalanche), quasi contemporaneamente la 1ª divisione aerotrasportata USA si impadroniva di Taranto senza incontrare resistenza. La famiglia reale e alcuni rappresentanti del governo italiano, con i capi di Stato Maggiore delle tre armi, lasciavano Roma per Pescara imbarcandosi per Brindisi mentre le truppe italiane, lasciate generalmente ovunque senza direzione e ordini precisi, nella Capitale cercavano senza successo di resistere all’attacco tedesco. Mentre le truppe tedesche dislocate in Calabria e nell’estremo Meridione convergono su Salerno, solo in Puglia c’è una vittoriosa reazione italiana, come in Corsica dove sotto la guida del gen. Magli le divisioni Cremona e Friuli respingono i tedeschi a Bastia; intanto nel Cuneese militari sbandati e civili di “Giustizia e Libertà” si organizzano e costituiscono le prime formazioni partigiane. A Roma i partiti antifascisti danno vita al Comitato di Liberazione Nazionale.
Dunque la sera del 9 settembre, quella che sulle prime si presentava ai pistoiesi come l’occupazione tedesca in atto, si palesa poi alla popolazione come una ritirata dei reparti germanici “cittadini”, del resto non certo rilevanti per consistenza numerica, e ciò incoraggerà poi gli antifascisti, certi di avere ormai “terreno libero”, a reagire alle provocazioni dei militi della ex–milizia14.
Davanti alla caserma di Piazza dello Spirito Santo si invitano le ex–camice nere a sciogliersi ed a consegnare le armi, ma qualcuno spara e inizia un lungo combattimento al termine del quale i militi si arrendono e vengono sottratti alla furia popolare dal parroco della retrostante vicina chiesa. Sull’episodio potrebbe sorgere un primo interrogativo: con cosa si combatte, se il comandante della piazza gen. Volpi presso la Caserma Umberto I di via Atto Vannucci respinge con decisione una richiesta di armi fattagli da una delegazione antifascista e, malgrado le insistenze di Venturi e di altri ufficiali, proibisce ai suoi uomini di prendere qualsiasi iniziativa antitedesca? Una risposta viene da Venturi stesso che annota: «In città si spara: mando tre volontari completamente armati per trarre d’impaccio un mio sottufficiale che ha esaurito i mezzi di fuoco»15.
Nel frattempo un altro ufficiale, il pistoiese Vasco Melani, di nascosto, rifornisce di armi gli antifascisti dal retro della Caserma Gavinana di via dei Baroni. Il secondo più consistente interrogativo sorge sul giorno in cui ha luogo il combattimento. Un testimone ammette apertamente di far confusione fra il giovedì 9 ed il venerdì 10, altri dicono il 9, tuttavia molti propendono per il 1016.
Due testimoni indicano decisamente date diverse e meno attendibili: l’8 settembre per l’antifascista Vincenzo Nardi nella sua Relazione per la concessione della medaglia d’oro alla città di Pistoia17 presentata tre anni dopo quella data, mentre il fascista Loris Lenzi, in un suo articolo apparso su «Il Ferruccio» del 6 novembre 1943, fa risalire l’episodio al sabato 11 settembre18.
Come spiegarlo? Nel primo caso – come nota giustamente Claudio Rosati – «la data spostata all’8 fa acquistare all’avvenimento un altro spessore storico»19, mentre meno chiaro appare lo scopo del Lenzi. Desta sospetto, scorrendo il suo articolo, che la data dell’11 settembre sia inspiegabilmente e volutamente ripetuta e sottilineata più volte tanto da definirne beffardamente i protagonisti come: “i Rivoluzionari” dell’11 settembre, “i coraggiosi dell’11 settembre”, quasi si volesse convincere il lettore che proprio quello era il giorno. Cosa invece accadde l’11? Venturi annota: «11 settembre: Voglio, pretendo ordini. Nessun ordine (…) riesco finalmente a parlare col Generale (…) Troppo tardi (…) entrano velocemente nelle casermette venti fra carri armati e autoblinde (…) ufficiali delle SS mi sono davanti con pistole mitragliatori impugnati»20. Un testimone, Paolo Vannucchi, vede proprio «(…) il sabato 11 i capoccioni della Milizia , liberati dai tedeschi a passeggio per il centro, tronfi, in compagnia dei liberatori…»21.
L’11 settembre è dunque il giorno che i forti reparti tedeschi in gran parte appartenenti al II° Panzerkorps SS, arrivati al Passo della Collina già nel pomeriggio del 9 e lì fermatisi per la notte, giunti in Capostrada la mattina del 10 e prudentemente attestatesi per tutto il corso di quella giornata nelle vicinanze di Pistoia per studiare la situazione22, ormai convinti che da parte delle “Badoglio–truppen”, sulla carta consistenti, del presidio pistoiese non ci sarebbe stata alcuna reazione, rompono gli indugi e decisamente invadono le caserme e la città. Come da loro previsto, le truppe italiane si squagliano o si arrendono: in città «Non si parlava d’altro – nota Vannucchi – la mattina di domenica 12 settembre…»23.
Il 12 è il giorno dell’eccidio di Piazza San Lorenzo. Questo tragico episodio, secondo la ricostruzione di Vannucchi, avvenne in seguito ad una calcolata provocazione volta ad affermare l’autorità tedesca impressionando una cittadinanza ormai impotente, ma ancora inquieta, con un esempio memorabile. Alcuni soldati tedeschi spargono la voce che si stanno per ritirare ed invitano la popolazione ad entrare nei magazzini della Caserma “Francesco Ferrucci” del Distretto Militare per prendere i materiali abbandonati dai soldati italiani. Molti ci credono ed entrano, ma nel pomeriggio la provocazione trova il suo terribile epilogo: i tedeschi tornano improvvisamente e fucilano sei cittadini.
Questa, sulla scorta di quanto abbiamo finora trovato, la cronaca a nostro avviso più attendibile di queste giornate ed ecco, forse, anche spiegata la ragione del “repubblichino” Lenzi nell’insistere a posticipare la data dei fatti di P.za dello Spirito Santo nel suo articolo pubblicato nemmeno due mesi dopo: era da poco nata la RSI e probabilmente Lenzi voleva, mettendo il più possibile a ridosso (11 settembre–12 settembre) gli avvenimenti di P.za dello Spirito Santo e di P.za San Lorenzo, giustificare in qualche modo davanti alla popolazione l’ammonitorio eccidio compiuto “a freddo” (due giorni dopo) dall’alleato tedesco, presentandolo invece come inevitabile e necessaria reazione di causa–effetto, insomma “a caldo”, ad una sparatoria avvenuta, secondo la sua ricostruzione, nemmeno un giorno prima, ad opera, a suo dire, di «una canea assetata di sangue e nutrita d’odio»24.
Carlo Onofrio Gori
Note
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M. Venturi, Dal diario di un ufficiale, in Pistoia 8 settembre 1944–8 settembre 1949, Pistoia, 1969. ↩
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Cronaca di Pistoia. Le indagini intorno ad un investimento, in «La Nazione», (10 set.1943) ↩
-
Cronaca di Firenze. Doloroso incidente in Piazza Vittorio Emanuele, ivi ↩
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Corriere di S. Marcello. La Conclusione delle feste patronali, ivi. De «La Nazione» in Biblioteca per il periodo che ci interessa sono presenti solo i numeri dell’8, 10, 11, (senza cronaca di Pistoia). Quello successivo data 16 settembre. ↩
-
Noterelle, in «Tempo nostro», n. 3 (25 dic. 1943). ↩
-
La guerra che ho vissuto. I sentieri della memoria, a cura di M. Francini, Pistoia, pagg. 345/6. ↩
-
Cfr. G. Bianchi, Appunti sul CLN clandestino di Pistoia, in «Farestoria», n. 16 (1991), pag. 21. ↩
-
Cfr. G. Pisanò, Io fascista, Milano, Il Saggiatore, 1997, pag. 16. ↩
-
La guerra che ho vissuto …cit. , pagg. 345/6. ↩
-
Noterelle, in “Tempo nostro”, n. 3, cit. ↩
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Cfr. R. Bardelli–M. Francini, Pistoia e la Resistenza, Pistoia, Tellini, 1980, pagg.82–83. ↩
-
Secondo Mario Lodi i soldati italiani presenti a Pistoia erano circa 20.000: cfr. La guerra che ho vissuto, cit., pagg. 345/6. ↩
-
M. Venturi, Dal diario …cit. ↩
-
R. Bardelli-M. Francini, Pistoia …cit., pag. 83. ↩
-
M. Venturi, Dal diario di …cit.; cfr. Il Comitato d’Azione, Al popolo della provincia di Pistoia, (11 set. 1943), in Pistoia 8 settembre…cit. ↩
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Sulle varie testimonianze cfr. R. Risaliti, Antifascismo e Resistenza nel Pistoiese, Pistoia, Tellini, 1976, pagg.: 12, 145; G. Verni, La Brigata Bozzi, Milano, La Pietra, 1975, pag. 40; R. Bardelli–M. Francini, Pistoia cit. pagg.: 30, 37, 81–85; La guerra che ho vissuto..cit. pagg. 30, 124, 243, 323, 344. ↩
-
Relazione per la concessione della medaglia d’oro alla città di Pistoia, in R. Bardelli–M. Francini, Pistoia… cit. pag. 30. ↩
-
L. Lenzi, Le barricate, in «Il Ferruccio» (6 nov. 1943). ↩
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C. Rosati, La gente di una città occupata: Pistoia 1943–1944, Pistoia, Società Pistoiese di Storia Patria, 1989, pagg. 3–6. ↩
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M. Venturi, Dal diario di …cit ↩
-
P. Vannucchi, Il 12 settembre 1943… a Pistoia, In Piazza San Lorenzo, i tedeschi…, in «Farestoria» n. 21 (1993), pagg. 51–53. ↩
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Testimonia il prof. Fabio Uccelli, allora bambino abitante a Croce a Uzzo, sulla base di una Memoria fornita dal dr. Rodolfo Cocchi, Farmacista di Capostrada, che assistè personalmente all’episodio, e a chi qui scrive da quest’ultimo confermata, che «(…) sul dirizzone di Capostrada, quasi al termine della discesa, il carro che apriva la colonna notò un movimento di uomini e uno strano ingombro, in fondo, verso il quadrivio, e si fermò. Infatti, alcuni uomini che volevano opporsi all’invasione tedesca avevano costruito una specie di barricata utilizzando materiali raccogliticci e pannelli di legno e tela, che normalmente servivano per essiccare la pasta, e che avevano prelevato dal vicino forno. (…) un sottufficiale tedesco e alcuni uomini, che resisi conto della inconsistenza della “fortificazione”, armi alla mano, costrinsero a smantellarla (…) i curiosi che si erano rifugiati nei negozi del “Piazzone” tra cui – comica finale – alcuni clienti del vicino barbiere ancora con l’asciugamano al collo e la faccia mezzo insaponata». ↩
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P. Vannucchi, Il 12 settembre 1943…cit., pagg. 51–53. ↩
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L. Lenzi, Le barricate, cit. ↩