Figure del fascismo pistoiese
Una città che non seppe esprimere figure forti
Quasi tutto il fascismo toscano delle origini, anche quello pistoiese, fu tributario del suo sviluppo al violento e fazioso squadrismo fiorentino del “granduca” Dino Perrone Compagni, dei Dumini, dei Tamburini, dei Barlesi, ecc., tuttavia durante l’arco del ventennio, il fascismo pistoiese non espresse in sede locale figure “forti” capaci poi di affermarsi anche a livello nazionale come, ad esempio, uno Scorza a Lucca, un Ricci a Massa Carrara, un Chiurco a Siena, i Ciano a Livorno, un Pavolini nella stessa Firenze. A Pistoia parte decisiva nella genesi del fascismo locale la ebbe Dino Philipson: ricco proprietario terriero fiorentino con possedimenti nel pistoiese, di origine ebraica, massone, avvocato, ex–combattente, deputato liberale nel 1919 che, pur rivendicando poi esperienze squadristiche, non fu mai un fascista in senso vero e proprio e che, in anni successivi, troveremo nelle file dell’antifascismo.
La paura suscitata dal “biennio rosso” 1919–20, determinò il vero scopo di Philipson, quello di servirsi delle squadre fasciste per distruggere le organizzazioni operaie e contadine ed in un secondo tempo ricondurre il fascismo nell’alveo della legalità. A tal fine nel marzo–aprile 1922 ispirò la nascita dell’Unione Democratica Pistoiese privando così il fascio locale (nato ufficialmente il 22 gennaio 1921 sotto la guida di Nereo Nesi) dell’apporto diretto di vari esponenti del notabilato agrario e conservatore.
Ciò aprì la strada all’affermazione della componente della media e piccola borghesia urbana che ebbe l’esponente di punta nella figura di Enrico Spinelli, studente universitario di farmacia, ex–combattente. Violento nelle imprese squadristiche lo Spinelli, che partecipò alla marcia su Roma guidando una colonna pistoiese (l’altra colonna era guidata da Ilio Lensi), non era tuttavia privo di una parte propositiva riassumibile in alcune teorie, più volte espresse sul foglio «Azione fascista», riconducibili al cosiddetto “fascismo di sinistra”: primato dell’industria, collaborazione fra un capitale “controllato” e il lavoro, lotta alla rendita parassitaria, un partito di “duri e puri”. Si circondò inizialmente di collaboratori provenienti dall’ interventismo repubblicano, ex–socialista, sindacalista, quali Filippo Civinini, Giovanni Martini, Ildebrando Targioni.
Il fascismo agrario pistoiese, mai definitivamente battuto, individuò il suo uomo di punta nel commerciante Ilio Lensi, squadrista rozzo, violento ed ambizioso. Spinelli tuttavia resse con forza il partito riuscendo, dopo clamorose faide interne, a far espellere quest’ultimo ed i suoi seguaci ed epurando poi la componente massonica dei Civinini, dei Martini, dei Lavarini. L’esigenza mussoliniana di “normalizzazione” determinò il tramonto di Farinacci e dell’ala intransigente a livello nazionale ed anche le fortune dello “spinellismo” cessarono nel 1926 quando il gruppo fu espulso dal partito.
L’uomo che condusse il PNF pistoiese sui binari dell’equilibrio imposti dal “fascismo–stato” fu il federale e podestà avvocato Leopoldo Bozzi. Enfatizzando i valori risorgimentali pistoiesi e raccordandoli a quelli fascisti condusse, mobilitando l’establishment culturale cittadino, felicemente in porto l’“operazione–Provincia”, creata nel 1927 ed ampliata con la Valdinievole nel 1928. Allargò la base del partito cercando di sviluppare il consenso al regime anche con lo sviluppo delle organizzazioni socio–politiche “collaterali” e con l’avvio di opere pubbliche, orientò l’economia della provincia in senso agricolo e artigiano. La sua prematura morte, in seguito ad incidente, privò Pistoia di una importante figura di raccordo e di mediazione, sia con Roma, sia all’interno del fascio pistoiese dove ripresero le lotte fra le varie fazioni e l’instabilità.
Da allora non ci pare emergano nomi significativi (a parte quello di Armando Barlesi, ma solo perché fondatore nel ‘32 de «Il Ferruccio»), infatti in seguito ad una ispezione effettuata nel 1941 dal “centro” sulla federazione fascista si rileva tra l’altro che a quella data si erano avvicendati alla sua guida “ben 14 federali” alcuni dei quali non pistoiesi.
Le esigenze belliche ridiedero il primato all’industria e fiato, specie con i federali Alzona e Pigli, all’ala intransigente del partito che ebbe poi modo di affermarsi soprattutto nel periodo della repubblica di Salò con i federali del PFR Giorgetti e Lorenzoni.
Emergono in quest’ultimo periodo, raccolte attorno al periodico «Tempo nostro» le figure di giovani irriducibili combattenti repubblichini: Valerio Cappelli (GNR) e il “parà” Rolando Chelucci caddero in combattimento; Ruy Blas Biagi (“NP” Decima Mas) fu fucilato a Firenze dopo un’azione di sabotaggio oltre le linee nemiche ed al suo nome venne poi intitolata la Brigata Nera di Pistoia alla quale appartennero Giorgio Pisanò e Agostino Danesi, arresisi in Valtellina solo dopo la morte di Mussolini; Mafilas Manini morì in clandestinità a Milano nel ‘45. Alcuni, come Pisanò, avranno un ruolo nel neo–fascismo del dopoguerra.
Si segnala infine, soprattutto per la sua ambiguità politica, la figura di un altro giovane fascista, Licio Gelli, ma questa è un’altra storia.
Carlo Onofrio Gori